Archivio per gennaio 19th, 2009

I libri letteralmente divorati (quasi fisicamente, con relativa sfaldatura dei fogli per quelli a stampa digitale con brossura a colla) capitano poche volte. L’ultimo che ricordavamo era stato “Il Diavolo e Sonny Liston” di Nick Tosches (un libro straordinario, dove la biografia del pugile mette in faccia al lettore il senso reale, e non solo le categorie, del razzismo, del furore, della povertà e del dolore), prima che ci capitasse in mano “Juve o Milan? Meglio il Foggia” del Collettivo Lobanowski di Foggia (Rainone editore), tre autori che scrivono dell’U.S. Foggia dal campionato di serie A 1976/77 a quello di C 2006/07. Sulle corde della narrativa calcistica britannica e con il nume tutelare Nick Hornby ad indicare la strada, i tre autori che formano il Collettivo Lobanowski hanno tirato fuori un gioiello luminoso e imperdibile della nostra narrativa calcistica contemporanea. Tre voci distinte e per molti versi diseguali hanno messo insieme un racconto a più fili intersecanti, che cattura l’attenzione mandandoti in trance da ultima pagina e giocando soltanto sui fili del ricordo e dell’appartenenza. Lobanowski 1 scrive della storia più datata dell’U.S Foggia con uno stile di un’asciuttezza barocca (sembra un ossimoro, ma leggendo le sue pagine viene fuori proprio questa idea di troppo e poco allo stesso tempo) meraviglioso. Sugli ingranaggi della sua normale vita di foggiano e ragazzo in quegli anni riesce a buttare nel suo racconto tutto quello che una memoria pulita ha mantenuto come segno e sintomo di passioni: dal China Martini a Carmine Gentile, dalla sorella Nina al terremoto irpino del 1980, da Maurizio Iorio a Leonid Breznev in un percorso che ricalca il Berselli de “Il più mancino dei tiri”, ma che da quest’ultimo si discosta in parte per minore classe, in parte per maggiore capacità di descrivere un tempo vissuto. In questo Lobanowski 1 aggredisce e vince il lettore: il suo farci vivere un percorso di vita magari semplice, spesso molto simile al proprio, in tanti punti poco narrativo eppure di una delicatezza storica che riesce a catapultarti nei tempi descritti e a mostrarti non il senso di quei tempi, ma il loro valore per la persona che si è adesso. Lobanowski 2, diversamente dal primo autore, non gioca mai di rimbalzo con le sue e nostre emozioni di lettore, le prende di petto e le trascina dove non pensavamo mai di andare a finire con un libretto sul calcio a Foggia. Prendendo parte con una nettezza che al lettore, abituati al melenso “volemose bene” televisivo e soprattutto al sotterfugio strafottente della nostra società, squaderna ogni pregresso avvicinamento al testo, l’autore di questa parte rifiuta le convenzioni da bar, del tipo: Zeman è un profeta che ha estetizzato il calcio oppure quando è morto Brera ho pianto per la scomparsa del genio, buttandoci addosso opinioni sue, personali, incattivite dal pensiero differente, autoreferenziale e congelato della vulgata di paese e della Vox populi nazionale. Riuscire a suggerirci opinioni sul vivere in società e sulla difficoltà dell’espressione del pensiero individuale, parlando di Codispoti, Burgnich e della trasferta di Avellino, è qualcosa di veramente stupefacente che Lobanowski 2 crea quasi senza volerlo, soltanto grazie ad un talento innato nel discorrere e una forza d’urto devastante delle sue e solo sue opinioni nate chissà come. Infine Lobanowski 3, che ad una prima e vorace lettura sembra essere l’anello debole, perché si limita al cronachismo appassionato, alle vicende condite dalle storielle di periferia. Ma non è così. Insieme e forse grazie al traino delle voci che lo hanno preceduto, il suo racconto dell’ultima fase dell’U.S. Foggia in serie C è piacevole proprio per quello che è: la storia di un ragazzo che cresce professionalmente e nelle esperienze di vita attraverso lo stare dietro una squadra di calcio, domenica dopo domenica. Il racconto che può sembrare povero di spunti rispetto alla dimostrazione di forza dei ricordi e delle opinioni negli altri due autori, acquisisce invece la sua forza proprio nel riuscire a decodificare con gli occhi di chi vive e sogna nel presente quello che accade, senza forzature di colore eccessive né aneddotica spicciola che ogni giornalista cerca di piazzare in un racconto per renderlo accattivante. Resta un racconto fatto di piccoli quadri di vita, senza la lode dell’esaltazione cafona né l’infamia della veduta ristretta. Un libro che davvero consigliamo a tutti di trovare da qualche parte e leggere subito. Una piccola critica finale: signori del Collettivo Lobanowski, non abbiate paura di scrivere quello che più vi piace. Non pensiate che per parlare di amore, di una doccia, del mare, del dolore, di un paio di sandali e della vita ci sia bisogno sempre del paravento U.S. Foggia. Siete degli (Lobanowski 3 è soprattutto un giornalista sportivo coi fiocchi a dire la verità) scrittori che possono parlare di tutto quello che la testa fa passare. Non crediate di farla franca con due storielle sulle partite dei rossoneri.
Jvan Sica
(per gentile concessione dell’autore, fonte: Letteratura sportiva)

Oscar Eleni dalla casa dello sceicco tentatore che vuole l’anima del diavolo, quella di Kakà e di suo padre Bosco, dal giardino delle delizie petrolifere dell’uomo che ha scoperto quanto si può essere deboli, dalla segreteria della reggia dove una avvenente baiadera ci regala il biglietto per un isola che finalmente c’è, un ‘altra di quelle dove sarebbe bello essere presidente, allenatore, commissario unico. Si chiama Himeshima, Giappone, dove si può lavorare meno, ma lavorare tutti, dove non hanno ancora sentito un coro decente dei tifosi che si allineano sugli stessi toni, persino quelli imbattuti ed imbattibili di Siena che invece di arrivare al sublime partendo dalla Verbena si sono fermati al capolinea dell’ovvio, quello dove i capi del coro girano le spalle al campo. Roba da mangiarsi il biglietto con tutte le barre energetiche antiviolenza.
In casa dell’emiro abbiamo anche provato a porre quesiti che vanno oltre il pallone, a lui piace quello del calcio, a tutti noi che siamo sull’isola di Meneghin e Renzi, darebbe un grande piacere se avesse le stesse manie per il basket, ma certo andrebbe prima a comperarsi i Lakers, i Celtics, i Knicks, ma non si sa mai, magari qui da noi, nascosto da qualche parte, c’è un figlio che ha scoperto il basket, la danza dei giganti in una montagna. Basterebbe poco. Con i 120 milioni di euro per Ricardo Leite potrebbe dare la felicità ad almeno 16 squadre su 16. Voi dite che con la stessa cifra si potrebbe dare felicità alla gente che ne ha bisogno, ma certo che capiamo e ci vergognamo, noi parlavamo tanto per stare in linea con il nuovo partito nato per combattere le schiene curve e l’overcoaching, sapendo di meritare palle di neve, palle di carta, palle con quello che volete voi adesso che vi hanno chiesto di considerare un allenatore in base all’utilizzo dei giocatori secondo salario. Non vanno tutti bene quelli che sono pagati molto bene, ma la colpa è di chi non li capisce al volo, di chi non si piega alla Fantozzi per farsi prendere a calci. Strano partito quello che difende gente che ha mangiato e stramangiato, fingendo di fare il bene comune, strano mondo quello che un giorno premia un allenatore e il giorno dopo vorrebbe bruciarlo. Tempi cupi se non sei Nando Gentile che manda tutti a quel paese, spesso sfiorando il mare della maleducazione, una reazione comprensibile anche se sarebbe bene curare pure questo aspetto della vita professionale, uno che fa masticare amaro i damerini, uno che ha chiarito le regole del gioco e del gruppo, uno che può dire agli osservatori NBA di starsene al bar perché lui farà giocare Jennings quando il ragazzo avrà capito che le ripetizioni, stranamente pagate da chi gliele dovrebbe impartire, servono per crescere tecnicamente e anche come uomo.
Stringiamo anche noi i tempi dopo il sondaggio in metropolitana sull’Armani entrata fra le sedici d’Europa, ma fuori dalle otto in Italia: molti hanno apprezzato il recupero nella grande corsa Devotion, molti continuano a pensare, noi di sicuro ci sentiamo arruolati in questo partito debole, che la squadra sia stata costruita male, con debolezze evidenti e insanabili ad alto livello, ma la maggioranza è ancora convinta che con due correzioni si potrebbe tentare il massimo sul tavolo se chi guida non avesse paura di trovarsi nella stessa palude dove ti spingono quelli che sanno di tutto e di più e hanno mani da clavicembalista al servizio di piedi che ragionano per quello che un tempo l’uomo eretto chiamava ancora cervello.
Sulla stessa carrozza la battuta più bella, comunque, è stata quella di un ragazzo vestito con la maglia dei Knicks, quella del Gallo comperata nel megastore di piazza Argentina, una piazza storica, almeno per chi scrive visto che ci è nato, una piazza tragica perché è a pochi passi da piazzale Loreto dove, come sapete, qualcosa di importante è successo davvero, prima e dopo la cura dei fasci. Ehi, tipo, lascia perdere storia e ricordi, tanto sei un superficiale, dicci di questa invocazione. Giusto. ”Caro Armani che stai nei cieli hai fatto bene a prendertela con Dolce e Gabbana, hai fatto bene a difendere i tuoi Proli nel viaggio di Olimpia verso la terra promessa, ma promettici che un giorno urlerai a Siena, proprio tu, maestro e donno, quello che hai detto agli stilisti della maglia rosa: mi avete copiato!”. Ve lo immaginate un basket italiano dove si copiano soltanto le cose migliori? Da delirio, da godimento oltre l’isola che c’è.
Pagelle e tocai, nel ricordo di una notte a Rivabella dove i presenti si sono portati sfortuna a vicenda, cadendo nelle stessa trappola del cibo non adatto ad un palato abituato ad altre ruvidezze come potrebbe giurare persino il Pellacani selvaggio che ha dovuto confessare di non sentire più emozione davanti a certa gente, a certi giocatori, a certe società, pronto a farsi chiudere nella sala torture al castello dell’emiro dopo aver confessato tutto alla guardia scelta Willy, il nostro re che ha schivato il pesce, ha perso le salsicce sbagliate con i fagioli sbagliati, ma questo succedeva alle Mura dove abbiamo scoperto alla radice la passione, ma anche la confusione mentale di ragazzini, allievi, che brillavano soltanto nelle orecchie, nei capelli, gente con il cavallo basso, la stessa confessione che il commissario P. ci ha fatto scoprendo per caso che la Lega ha già scelto il suo ex presidente, un sarcasmo da montagna ghiacciata che non abbiamo apprezzato perché Valentino e Dino, Meneghin e Renzi saranno più bravi dei soliti Bravi.
Pagelle o rompiganascioni.
10 A Bruno CARU’, eminente cardiologo, medico dell’Armani, e Fabio FACCHINI, eminente arbitro che per questo voto alto è esentato dal ritiro che ci aveva promesso tanto tempo fa per un voto basso meritato mentre faceva lo sceriffo nella sua Silverado dei canestri, perché questa strana coppia, due persone divertenti, conoscendole davvero, hanno dato vita sul campo di Siena al più bel teatrino mai visto su un campo sportivo. Cari registi che, giustamente, puntate su Verdone, Scamarcio e Castellitto per Italians, il basket può regalarvi gente anche migliore.
9 A Claudio SABATINI per questa rabbia che porta dentro e che gli fa fare sempre cose almeno interessanti. Rimborserà anche i poveri tifosi bastonati come la squadra a Treviso, porterà a cena i giocatori, anche quelli che costano troppo e rendono poco dando la colpa sempre agli altri, si darà da fare per rimettere a posto la chimica del gruppo adesso che i veri nemici sono venuti allo scoperto e ancora non hanno chiarito se Boniciolli è diventato pessimo con o senza l’aiuto del tattico Zorzi, dei grinder Melillo e Fedrigo. Voto con laude, per il rischio non per la scelta, dopo la presa di posizione contro Cazzola sindaco, soprattutto dopo aver sentito che i tifosi Fortitudo lo avrebbero votato perché non vedevano l’ora di mettere una croce sull’ avversario che più li aveva messi in croce.
8 A Giorgio BUZZAVO non certo perchè si è astenuto nella votazione per la scelta di Renzi, confermando che lui in quella Lega non ci metterà più piede, ma per la pazienza mostrata nel ricostruire la Benetton basket proprio come era nelle origini, esploratrice in campi difficili, sperimentatrice con personaggi nuovi che con i tuttiverdi si sono lanciati, rilanciati, rimessi a vivere.
7 Ad Allan RAY perché sentirlo parlare della nuova avventura con Ferrara, sentirgli dire che ha gioito per il successo contro Montegranaro, senza di lui sia chiaro, è così diverso da quello che ci stavano raccontando a Cantù quelli che hanno stappato bottiglie per la partenza del grande incompreso. Diciamo che i ragazzi venuti dal similmondo NBA sono anche timidi, ma non sono stupidi. Così come tutti gli altri che un giorno sono cattivi e l’altro diventano agnelli come avranno scoperto ad Udine, a Caserta e in altre terre, persino a Milano.
6 Al Luca BECHI biellese per aver ridato una faccia al Gaines dei tormenti, per aver trovato la benzina per far correre questa Biella che ora si libera delle catene di una classifica difficile e punta ancora verso l’alto.
5 A Zare MARKOVSKI che prepara in silenzio tutte le sue vendette perché doveva spiegarlo meglio ai fischiatori di Avellino, ai soliti furbi in serpa agli elefanti, che l’AIR sarebbe tornata a far paura appena si fosse fermato il pendolino sgradevole delle trasferte di eurolega, appena la mente fosse stata liberata.
4 Ai difensori di BOYKINS che non ritrova il passo e la voglia, ma non perde il vizio di perdere palloni incredibili, a Treviso ne ha lasciati alla Benetton in un numero superiore ai punticini che ha messo dentro nel cestino personale. Per questi punticini gli allenatorini persero la capa, per questi punticini gli allenatoroni finiscono per passare nel gruppo dei……
3 A Meo SACCHETTI che non riesce proprio a guidare la crociata delle purificazioni, quella che servirebbe a tante squadre per arrivare alla salvezza, per mettere a sedere chi non ha mai avuto niente d’importante da dire. Certo nel prossimo turno sarà davvero deprimente vedere chi fra Snaidero e Fortitudo resterà all’inferno.
2 A Carlo RECALCATI perché ci vuole davvero una fantasia speciale per convocare al lunedì uno come Poeta, visto rivisto, pesato bene, poche ore dopo una faticaccia in campionato, nello stesso raduno dove, stranamente, è stato chiamato anche Aradori. Se questo è fare il bene dei giocatori italiani, se questo vuol dire pretendere la primogenitura su certe scelte allora vi diciamo che non esiste un premio sufficiente per ringraziare un commissario tecnico del genere.
1 A Franco BERTINI, geniale giocatore, eccellente scrittore, se non torna a farsi sentire su questa Scavolini peccatrice che ha rovinato tutto un ‘altra volta, che si contorce nella ricerca di una strada comune sapendo che in questa guerra intestina per far cadere Sacripanti, per beatificare un Carlton Myers ed affini, si finirà per farsi davvero male. Lui può intervenire, insieme a Valter, per riposizionare, a nome della società, le coordinate dell’isola che a Pesaro c’era ed era bellissima, non tanto tempo fa.
0 Alla CURVA VUOTA del Pala Dozza perché ci siamo sentiti male davvero. Certo che quei giocatori con la faccia da impuniti meritavano un castigo, certo che se fossimo nella società, adesso che il destino sportivo in A1 è proprio sul baratro, manderemmo via immediatamente almeno due giocatori, quelli che piacciono di più ai flautisti del catodo e non è detto che siano tutti nascosti a SKY, ma è anche l’ora di far capire che quella, sbagliata o giusta che sia la squadra, bravo o cattivo che sia l’allenatore, credibile o meno che sia il presidente, è la loro squadra, la loro Nazione. Da difendere senza se e senza ma, perché del domani non v’è certezza e se cade un bastione a Basket City potrebbero cadere anche altre torri molto meno fortificate.
Oscar Eleni

1. Lo schema del calciatore mercenario è riuscito male, ma stavolta ha fallito anche quello del Galliani cattivo. Tutto il mondo ha capito che Silvio Berlusconi ha dato l’ok alla vendita di Kakà, per tanti soldi (da un minimo di 108 milioni di euro ad un massimo di 150, si è sentito di tutto ben prima della smentita tattica del proprietario del City: a nessuno piace passare per un ricco coglione, mediaticamente di peggio c’è solo il coglione povero) e possibilmente non ad una diretta concorrente: il Real Madrid ambito dal giocatore saprebbe di smobilitazione. Galliani è lo stesso Galliani che nell’estate 2001 con un bilancio quasi in pareggio ebbe il permesso di buttare 80 miliardi di lire nel piatto di Cecchi Gori per avere Rui Costa, spende più o meno bene i soldi che può permettersi di spendere. E a dirla tutta, anche Marina e Pier Silvio, i figli maggiori del proprietario del Milan, senza il padre semplicemente non esisterebbero nè come imprenditori né come dirigenti: sono impiegati, con influenza sulla gestione ma non sulle strategie di fondo. Insomma, anche gli ‘ordini’ dei figli sembrano una colossale invenzione.
2. Le ragioni di questa svolta, al di là di dove giocherà Kakà settimana prossima (abbiamo scommesso, nel vero senso dell’espressione, sul Milan), risiedono solo nella testa di Berlusconi: annuncio di smobilitazione, sensazione personale che Kakà sia in declino, cattivi consiglieri, tardivi progetti di autofinanziamento (va detto che calcolando il lordo dei quattro anni e mezzo residui di Kakà, fra incasso e mancati esborsi il Milan avrebbe un beneficio diretto di circa 200 milioni: in pratica il fatturato di un anno) o la solita voce del futuro ‘leghista’: quel ‘Milan dei lombardi’, più volte vagheggiato nelle cene del lunedì ad Arcore, ma che si scontra con contratti pubblicitari pluriennali e soprattutto già firmati con aziende dall’orizzonte che va oltre Segrate ed Arluno. Galliani e l’amico Bronzetti sono colpevoli di tante cose, ma non della presunta vendita di Kakà.
3. Lo show di Luciano Moggi da Vespa è stato commentato un po’ da tutti, con posizioni ovviamente differenti a seconda del bacino di utenza. E’ però curioso che la Gazzetta dello Sport abbia affidato il compito non ad uno dei suoi giornalisti, ma ad un collaboratore che oltretutto di solito interviene solo su temi tecnici: Arrigo Sacchi, che ha criticato l’ex direttore generale della Juve pur fra vari distinguo. Sabato si è letta la replica di Moggi su Libero, con il solito argomento: così fan tutti. Perché l’anno scorso la Roma doveva vincere lo scudetto (motivazione moggiana: l’ha detto anche la vedova Sensi, descritta come una non di parte) ed il Milan di Sacchi vinceva anche perché Baresi alzava il braccio a chiamare fuorigioco inesistenti. Tutto può essere, ma è interessante che il primo quotidiano sportivo d’Italia non voglia prendere una sua posizione su una vicenda che agli appassionati di calcio interessa molto. Forse non è un caso che nelle varie autodifese di Moggi, compreso il brutto libro ‘Un calcio nel cuore’, manchi clamorosamente il file ‘giornalisti’ che pure nelle intercettazioni aveva un peso notevole. Colpe annacquate nel quadro di un racconto generale ed in avvocatese della vicenda, successi giudiziari esaltati con slogan più diretti e meglio recepibili al bar: meccanismo in verità più delle televisioni (anche pay: memorabile la Moggi’s list, da lui stesso enunciata, di suoi miracolati a Sky) che dei giornali. Strategie sottili, carriere (ammesso che reggere un microfono senza fare domande sia una carriera) con un perché.
4. Dolce & Gabbana sono colpevoli della divisa del Milan da becchino, ma anche, secondo quanto dichiarato ieri da Giorgio Armani, di avere copiato un suo pantalone. Uno scazzo pazzesco, che i cronisti di settore hanno riportato. La prima notizia è proprio che l’abbiano riportato, ma qui la spiegazione c’è: Dolce & Gabbana disprezzano la maggior parte dei giornalisti mentre le pubbliche relazioni di Armani sono più per così dire più soft. Insomma, le poche volte in cui abbiamo dovuto occuparci della materia (del resto per vivere compiliamo anche i tabellini del Falkirk, lo snobismo non ci riguarda) abbiamo notato che nella stampa specializzata i tifosi di Re Giorgio siano più numerosi di quelli del dinamico duo. La notizia bis è che Beckham e Kakà (ieri opportunamente assente alla sfilate di Emporio Armani, e ancora non sapeva della tragedia avvenuta nella sua chiesa di San Paolo) siano stati presi in mezzo: strapagati da Armani ma nella vita professionale costretti ad indossare D & G. Forse fra poco non avrano più problemi di questo tipo.
5. Il licenziamento di Mario Brozzi da medico sociale della Roma potrebbe essere archiviato come la solita storia di dissidi ed incomprensioni fra allenatore e staff sanitario (dalle vette di ManciniCombi a situazioni molto più comuni): il tecnico spinge per avere i giocatori prima possibile e da ex giocatore pensa sempre che facciano i furbi, il medico pensa alla salute dei pazienti e più concretamente alla propria reputazione. Senza entrare nel merito del recupero di Tonetto o di tanti altri, dove le versioni sono troppo di parte, due piccole considerazioni. La prima. Brozzi ha affermato che non vuole che si metta in dubbio la sua professionalità da persone che non hanno competenza per giudicare, ma con questo metro solo gli avvocati potrebbero scrivere articoli sulla giustizia o i salumieri sul mercato del prosciutto cotto. Un medico può insomma essere criticato anche da chi non è laureato in medicina, fosse Spalletti o l’ultimo collaboratore di Forza Lupi. Seconda considerazione. Brozzi è stato fatto oggetto di un linciaggio indegno da parte di alcuni media romani, esempio di marketing ma in alcuni casi anche di delinquenza verbale. Fatto sta che, come ha denunciato lo stesso medico, la figlia è stata aggredita all’uscita da scuola da tifosi che dopo averla simpaticamente chiamata ‘bastarda anoressica’ hanno iniziato a dire di tutto contro il padre. Non solo, ma la macchina della ragazza è stata omaggiata di una bomba carta. Questo nel calcio italiano il clima per chi non si uniforma o semplicemente non è simpatico a chi fa opinione su piazza, con l’avvertenza che nella bella e sana provincia funziona molto peggio che nelle metropoli.
Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it
(appuntamento a domani verso mezzogiorno)

Quando nel 1985 è crollato il Palasport per neve, Milano ospitava un torneo di tennis internazionale, aveva una buona squadra di pallavolo, una strepitosa squadra di basket, una squadra di hockey su ghiaccio di grandi ambizioni (il Saima, erede morale dell’Hockey Club) che stava iniziando la sua scalata, la boxeera ancora uno sport e si faceva finta che i ciclisti pedalassero davvero da soli. Da allora, l’illuminata classe dirigente di questa città ha lasciato che tutto questo si sciogliesse come si è sciolta quella neve. una sola cosa sono stati capaci di ripetere. mentre il mondo e lo sport cambiavano e Milano scompariva da ogni campionato che non fosse quello di calcio. Per vent’anni. ripeterselo come il mantra di quattro vecchi rimbambiti al bar che dicono le cose senza più ascoltarsi. Milano ha bisogno di un palazzo per lo sport. Ed adesso finalmente presentano il nuovo Vigorelli. Sarà polifunzionale, costerà un sacco di soldi ed ospiterà la pallavolo [nemmeno ci giocano più a scuola, almeno a Milano], la boxe [sport talmente sputtanato che pure la mafia di Las Vegas l’ha abbandonato], il ciclismo su pista [in effetti in Belgio è ancora molto popolare] e l’hockey su ghiaccio [Milano non c’è più ed il campionato fa ridere]. Posto che un palazzo dello sport è sempre meglio averlo che non averlo [certo, va ancora trovato un pazzo che scucia quaranta milionidieuro], collateralmente, qualcuno ha ipotizzato, pensato, perlomeno vaneggiato di un qualche straccio di piano di rilancio dello sport milanese? A parte costruire palazzi e “suite, box a vetri che si affacciano sui campi da gioco“? Ebbene no. Italia Novanta non ha insegnato nulla. Costruiamo. Poi si vedrà. Mal che vada, se resta sempre vuoto, ci si possono sempre ospitare dieci date di Ligabue e quaranta di Vasco Rossi. Come al Forum, no?
Cristiano Valli
(per gentile concessione dell’autore, fonte: Cose Rosse)