Archivio per febbraio, 2009
di Stefano Olivari
Molti sono convinti che scommettere ‘live’ offra maggiori possibilità di vittoria. L’idea è che se stasera la Juventus, data a 1,55 (pari a 3,60, Napoli a 6,50), dovesse faticare, la sua quota si alzerebbe molto. Ma ci sono due piccoli problemi: per farci vincere la Juve dovrebbe lei per prima vincere, ma soprattutto il cambiamento in diretta delle quote quasi mai conferma l’aggio del banco. Possiamo verificarlo empiricamente: il vantaggio del bookmaker al minuto zero (nel caso sopra citato 7,5%) è quasi sempre inferiore a quello con le quote live. L’ipotesi è che scommetta in diretta chi abbia un’idea forte sul risultato, formatasi guardando la partita, e che quindi non stia a sottilizzare. E’ quindi realistico che sullo zero a zero al quarto d’ora della ripresa la Juve salga a 2,00 (per il banco probabilità del 50%), il pari a 3,30 (30,3%) ed il Napoli a 3,40 (29,4%). Chi crede nei bianconeri si illude che sia il momento per giocare, ma a livello statistico il vantaggio del banco è salito al 9,7%. Tornando sulla Terra, ripartiamo dal nostro meno 54,4 euro. Oggi occhio al Borussia Dortmund in casa contro l’Hoffenheim: per caratteristiche tecniche sono due squadre da Over (almeno 2,5 gol), quindi i nostri 10 euro li puntiamo così a 1,60. In Scozia il Celtic capolista non può avere pietà del St.Mirren: la vittoria a 1,20 è giocabile. Da considerarsi ‘value’ anche un successo tutt’altro che sicuro, quello dell’Atalanta domani sul Chievo a 1,75. Meglio pensarci prima che decidere in diretta.
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(Pubblicato sul Giornale di oggi)
2. A Firenze due scelte hanno fatto la differenza: posizionare Emanuelson in marcatura quasi a uomo su Melo, riducendo ai minimi termini l’apporto del giocatore alla manovra (una mossa non ripetuta al ritorno, dove infatti il brasiliano è stato uno dei migliori in campo), e schierare Bakircioglu attaccante destro nel tridente, restituendo Suarez ad una posizione più congeniale al centro del reparto offensivo. Pur non essendo un’ala, il giocatore svedese di origini assire (che molti in Italia si ostinano a chiamare Kennedy, ma sarebbe come dire che la Fiorentina schiera in attacco Adrian) ha vissuto i momenti migliori della sua carriera (al Twente) proprio in quella posizione, acquisendo tempi e movimenti, anche in fase di ripiegamento, che il talento anarchico di Suarez fatica a interiorizzare. E sarebbe anche un peccato se lo facesse, dal momento che l’uruguaiano ha dimostrato nei 180 minuti di Uefa come in una posizione più centrale, prima ma anche seconda punta, sia in grado di impegnare e tenere in apprensione un’intera difesa.
3. Ad Amsterdam Van Basten ha scelto di coprirsi. Gli è andata bene con il problema fisico di Stekelenburg (così come all’andata con l’infortunio di Cvitanich, altrimenti niente Bakircioglu e Suarez a destra…), venendo ripagato dall’ottima performance di Vermeer, per il primo anno davvero convincente fino in fondo. E’ tutta farina del suo sacco invece l’inserimento di Leonardo, uno dei pochi artisti del dribbling rimasti e uno di quei giocatori il cui rendimento da subentrato risulta essere spesso superiore rispetto ad un impiego dal primo minuto. Devastante in campo aperto, qualità tecniche indiscutibili ma anche una fragilità fisica impressionante (alla Robben, per capirci), Leonardo è ideale per un impiego di 30-40 minuti finalizzato a scardinare le difese più ostiche. Questo Van Basten l’ha pienamente capito.
4. Capitolo delusioni. Miralem Sulejmani in primis, autore di due prestazioni molto fumose. “Embè, tutto qui?”, ci ha scritto un collega olandese riguardo a Riccardo Montolivo. Ecco, Sulejmani è la stessa cosa: grande talento con il brutto difetto di scomparire nei match che contano, specialmente in Europa. Basterebbe avere la personalità mostrata da Vurnon Anita all’andata; senza strafare, il centrocampista ajacide ha sfoderato una prestazione di esperienza, pur essendo un classe 1989. Delude ma non stupisce la limitatezza di Presas Oleguer, scarto del Barcellona arrivato a ingrossare le fila dei bidoni spagnoli (Roger, Urzaiz, Luque) transitati per l’Amsterdam Arena negli ultimi anni. Lui è un no global, il suo calcio un no futbal. Anche il connazionale Gabri ha dei limiti, ai quali però sopperisce con una straordinaria quantità, tanto che a volte (due settimane fa ad Arnhem, ad esempio) è capitato di vederlo uscire dal campo reggendosi in piedi a fatica per quanto aveva corso. Promuoviamo infine, senza lode, anche Rasmus Lindgren e Gregory van der Wiel. L’Europa è l’insegnante migliore per proseguire la propria formazione.
5. Agli ottavi di finale non ci sarà il derby olandese. Una punizione da trenta metri di Hatem Ben Arfa, con tanto di doppio palo, e i calci di rigore hanno permesso all’Olympique Marsiglia di eliminare il Twente. Un’occasione persa per gli uomini di McClaren, assolutamente non inferiori ai più quotati francesi. Netto invece il divario tra Amburgo e Nec Nijmegen. La bella favola della compagine guidata da Mario Been si è conclusa con una doppia sconfitta, ma l’avventura è stata indubbiamente positiva. Con tutta probabilità passeranno anni prima che questa possa ripetersi. A fine stagione infatti Been andrà al Feyenoord, mentre la dirigenza del Nec ha annunciato le difficoltà finanziarie del club, invitando i tifosi a prepararsi per “un lungo inverno”. Assente, causa limiti propri, un assiduo frequentatore dei salotti continentali come il Psv Eindhoven, adesso l’Ajax in Europa è sempre più solo.
stefano@indiscreto.it
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di Stefano Olivari
Il 2010, scadenza di molti contratti di superstelle NBA (primissimo fra tutti LeBron James, secondo Dwyane Wade, con i terzi che non scherzano), è l’anno di cui tutti gli appassionati parlano, ma la vera battaglia per delineare il futuro della lega nei prossimi decenni si combatterà l’estate successiva: è nel 2011 infatti che scadrà il contratto collettivo dei giocatori e che la NBA cercherà di mettere mano a regole che allo stato attuale impediscono di strapagare le superstar ma al tempo stesso quasi costringono a farsi strozzare dai role player con contratti pluriennali: Ben Wallace 14 milioni e mezzo di dollari a stagione, l’attuale Leandrinho Barbosa a 6,1, Jason Kapono circa per la stessa cifra, eccetera. Questo e molti temi interessanti vengono affrontati in un’intervista a David Falk, storico agente di Michael Jordan (adesso cura gli interessi, fra gli altri, di Mike Bibby, Mutombo, Brand, Coach K), sul New York Times di domenica: invitiamo ad andare sul sito del giornale a leggerla, così con la ristrutturiamo furbescamente facendola passare per nostra. Possiamo però dire che dall’intervista si evince che secondo Falk il commissioner Stern ha già nella mente una strategia ben precisa, volta ad ottenere i seguenti risultati: a) Salary cap vero, riducendo al minimo le eccezioni; b) fra le eccezioni, assolutamente abbattere la mid-level cap exception (esempio di mid-level exception è l’ingaggio di Kapono da parte dei Raptors, a cui comunque l’ex UCLA non ha puntato contro una pistola); c) Contratti più corti; d) Limite di età più alto per entrare nella lega. Nel lanciare il suo libro, The Bald Truth, Falk ha insistito molto sul quarto punto sostenendo una tesi non nuova ma comunque interessante: cioé che qualche anno in più nella NCAA (o in un’Europa meno dura e competitiva di quella trovata da Brandon Jennings) darebbe alla NBA giocatori tecnicamente migliori, più maturi come persone (fra un 21enne e un 19enne c’è un oceano di differenza), e soprattutto con una pubblicità gratuita di tre o quattro anni da parte della NCAA che farebbe entrare nella NBA con rullo di tamburi anche giocatori di livello medio. Siccome non tutti i diciottenni hanno la testa dei Kobe, LeBron o Garnett diciottenni, è quello che si augurano tutti tranne i freshman NCAA delle prossime stagioni e tranne ovviamente i colleghi di Falk, che non è un semplice agente e che all’apice del suo potere è arrivato ad essere una specie di Gea incarnata in una persona sola: con almeno un giocatore chiave e qualche comprimario in ogni squadra, piazzato secondo le logiche dello spettacolo (io ti do Bonolis ma ti prendi anche Piripicchio). E pensare che abbiamo conosciuto di persona il dirigente di una società calcistica italiana che asseriva di avere, nel suo nebuloso periodo americano, ‘inventato Michael Jordan a livello di marketing’. Non era Falk, ovviamente.
stefano@indiscreto.it