Archivio per gennaio 26th, 2009

di Alec Cordolcini

Questa settimana pensieri in ordine sparso sulla tratta Eindhoven-Stoccolma, e ritorno.
1. Per una società calcistica olandese la Categoria 1 significa l’anticamera dell’inferno. Che sarebbe poi il fallimento. Nella suddetta categoria vengono inseriti i club che presentano bilanci non in regola. Tre anni consecutivi in Categoria 1 comportano la revoca, da parte di un’apposita commissione della Federcalcio oranje, della licenza per partecipare a campionati professionistici. Quest’anno l’Fc Eindhoven, lo storico club cittadino fondato nel 1909 (il Psv arriverà solo quattro anni dopo e, come noto, nascerà come squadra aziendale), festeggia il suo centenario, e con tutta probabilità lo farà da società dilettante. La sentenza di revoca della licenza è infatti stata emessa da pochi giorni. I libri contabili adesso sono in ordine, grazie anche all’intervento del Comune di Eindhoven che ha contribuito alle spese per i riflettori del Jan Louwers Stadion e al Psv che ha cancellato il debito contratto dall’Fc riguardante il prestito di alcuni giocatori (Ten Rouwelaar, Bakkal, Tim Janssen, De Roover e Stojanovic); peccato però che la commissione sia chiamata a valutare i bilanci dell’ultimo triennio senza contemplare la gestione attuale. Un dettaglio quest’ultimo che alimenta ancora una piccola speranza tra il popolo dei lightblauw-wit (biancoazzurri), compatto attorno al presidente Ed Creemers nel ricorso presentato contro la decisione della commissione. E’ quindi cominciata una corsa contro il tempo per evitare la scomparsa di un piccolo pezzo di storia del calcio olandese. Ultimo campione d’Olanda (nel 1954) prima dell’introduzione del professionismo, l’Fc Eindhoven (noto ai tempi come Evv) manca dalla Eredivisie ormai dal lontano 1977. Niente più Lichtstad derby (derby della città della luce) da allora, se si eccettua un quarto di finale della Coppa d’Olanda 98/99 terminato con un sonoro 5-0 raccolto a domicilio. Eppure quel giorno il Jan Louwers Stadion fece registrare un’affluenza di 22mila persone, ovvero quasi venti volte tanto la media stagionale raccolta dall’Fc nell’ultimo triste decennio, trascorso perlopiù nei bassifondi della serie cadetta olandese. Perché tifare Psv ad Eindhoven è come tifare Juventus a Como. Si sceglie il blasone, non l’appartenenza.
2. A proposito di Psv, tramontata definitivamente l’ipotesi del quinto titolo consecutivo, si lavora già per la prossima stagione. Il primo acquisto, già sbarcato al Philips Stadion, è l’attaccante svedese Ola Toivonen, uno dei nomi “caldi” della nuova generazione di Svezia. Fino allo scorso anno il 22enne Toivonen si divideva i consensi degli addetti ai lavori e i cuori delle ragazzine svedesi con Albin Ekdal, altro bello e possibile proveniente dal paese di Re Carlo XIV Gustavo. Più glamour Ekdal, scuola Brommapojkarna (piccolo club della periferia di Stoccolma), più ruvido Toivonen, prodotto di casa Malmö, squadra tanto incapace nel tornare ai fasti di un tempo quanto brava nel proporre attaccanti di spessore internazionale (senza scomodare il solito Ibrahimovic, categoria semi-fuoriclasse, citiamo Markus Rosenberg e Afonso Alves). Adesso è arrivato il momento di maturare sul serio: Ekdal alla Juventus, Toivonen al Psv. Con la speranza per quest’ultimo di ripetere anche solo in parte le prodezze del più famoso svedese transitato per Eindhoven e dintorni, Ralf Edström (di cui Toivonen è pure concittadino, essendo entrambi nati a Degerfors), reti a raffica a cavallo tra il ’73 e il ’77. Tra Eredivisie e Svezia però il feeling è sempre stato alto, e l’Allsvenskan continua a rappresentare uno dei terreni di caccia preferiti di molti club oranje. Ad esempio il Groningen, che dopo l’affare-Berg (tutt’oggi con i biancoverdi solamente perché nell’Ajax, dopo la partenza di Huntelaar, è esploso l’argentino Cvitanich) ha colpito nuovamente nel segno con il guerriero di centrocampo Petter Andersson; oppure l’Heerenveen, rinforzatosi a gennaio con Viktor Elm e Patrick Ingelsten, ovvero i due principali artefici del miracolo Kalmar. Una storia di calcio “minore” che merita di essere accennata.
3. Dopo lo Stabæk in Norvegia e l’Inter Turku in Finlandia, ecco il Kalmar in Svezia. Il 2008 nel Nord Europa è stato sinonimo di novità. Squadre di scarsa tradizione calcistica e dalla bacheca pressoché vuota capaci di imporsi con merito sulle big più conosciute e blasonate. E’ successo al Kalmar, club dell’omonima città della Svezia meridionale famosa per gli splendidi castelli medievali nelle vicinanze, oltre che per i cantieri navali e le officine ferroviarie. Dal 1924 a oggi il Kalmar Fotbollsförening aveva collezionato solo 21 campionati nella massima divisione svedese, dove vi è ritornato in pianta stabile nel 2001 dopo essere arrivato, negli anni Ottanta, fin sulla soglia della quarta serie. Guidato dal 2002 da Nanne Bergstrand, il club si è reso protagonista di un lento ma costante processo di consolidamento ai vertici del calcio svedese. Terzo posto nel 2005, secondo nel 2007, anno in cui è stata vinta la Coppa di Svezia (la terza nella storia della società), primo nel 2008, con il double sfuggito nei tempi supplementari della finale per mano dell’IFK Göteborg. La fisicità svedese unita alla fantasia brasiliana. Schematizzando in maniera un po’ grossolana, potrebbe essere questa una buona descrizione della filosofia alla base del successo del club, ovvero un telaio di prodotti locali, spesso provenienti dal proprio vivaio, nel quale vengono innestati giocatori provenienti dallo sterminato bacino calcistico verdeoro. Ecco quindi transitare con successo, nel corso degli anni, Ari da Silva (oggi all’Az Alkmaar), Dedè Anderson (Aalesund) e Cesar Santìn (passato la scorsa estate al Køpenaghen).
4. Il Kalmar campione però è innanzitutto una band of brothers, con tre fratelli tutti militanti in prima squadra. Si tratta della famiglia Elm, con David (classe 1983), Viktor (1985) e Rasmus (1988). Il maggiore è anche il meno talentuoso; Viktor ha attirato sulle tribune del Fredriksskans numerosi osservatori, intrigati dalla sua capacità di muoversi a cavallo tra centrocampo e attacco, dall’imperioso stacco di testa e dalle buone capacità balistiche (in Olanda si è presentato con una doppietta al Feyenoord in coppa); Rasmus infine si è proposto come sgusciante esterno destro dalla spiccata propensione per l’ultimo passaggio (miglior assistman del campionato) e dalle rimesse laterali mortifere (in pratica sono dei corner battuti con le mani). Oltre agli Elm si è messo in evidenza Patrick Ingelsten, ala part-time nell’Halmstad, bomber a tempo pieno con il Kalmar e fresco vincitore della classifica marcatori dell’Allsvenskan. “Bastava farlo giocare nella sua posizione giusta” è stato il commento del tecnico Bergstrand.
5. Il prezzo da pagare per questo meritato successo sono state le numerose partenze, da Elm II a Ingelsten, da Santìn al francese Sorin, con il giovane Elm III tentato dalle sirene inglesi del Fulham. Squadra quindi per metà smantellata, ma non era possibile fare altrimenti. Nella provincia dell’impero se non si agisce in questo modo si rischia la fine dell’Fc Eindhoven.
Alec Cordolcini
wovenhand@libero.it
(in esclusiva per Indiscreto)

di Marco Lombardo

Andy Murray ha capito cosa vuol dire essere favorito. L’ha capito lasciando un campo da tennis testa china e borsone sulle spalle, mentre il suo avversario – lo spagnolo – salutava la folla con la sorpresa negli occhi. «Vamos Fernando» gridava la folla degli Australian Open, per festeggiare la prima vera sorpresa del torneo, considerando che se le cose fossero andate come da pronostico ci sarebbe stato invece il record: le prime otto teste di serie nei quarti di finale. Invece non è così, grazie a Verdasco o forse grazie a Murray che si è perso per la strada del match sotto il peso dei giudizi da favorito. «Ma per me non è un disastro – ha detto alla fine -: io gioco nello stesso modo sia quando devo vincere per forza sia quando sono sfavorito. Ci sono giorni in cui devi dire bravo al tuo avversario e basta». Sarà così, però finora Fernando Verdasco aveva fatto parlare di sè principalmente per il suo fidanzamento con la reginetta serba Ana Ivanovic, legame rotto proprio alla vigilia degli Australian Open di comune accordo per potersi concentrare meglio sul tennis. A lei è andata male, a lui molto meglio. Mentre Murray, che nei tornei di antipasto degli Open aveva battuto sia Nadal che Federer (due volte), ora medita sulla dura vita da favorito, dopo un’esistenza di rincorsa passata pure per la strage di Dunblane, quella della sua scuola: lui quel giorno c’era e si salvò per miracolo. Non si è salvato invece dalle accelerazioni di Verdasco e ora ripete convinto: «Ci saranno altri Slam nella mia vita: non so se sarò sempre favorito, ma so che posso vincerne almeno uno». Per carità, la vita -anche tennistica – è lunga. Eppure Roger Federer, che di queste cose se ne intende, l’aveva avvertito alla vigilia del torneo: «Non so perché tutti dicano che Murray è il favorito. Vincere un torneo è una cosa, vincere uno Slam con tutti gli occhi addosso è un’altra. Nadal e io sappiamo come si fa. Lui ancora no». Come dargli torto, ora?
marcopietro.lombardo@ilgiornale.it
(per gentile concessione dell’autore, fonte: Il Giornale.it)

di Oscar Eleni

Oscar Eleni in un letto sistemato da nessuna parte, come hanno ordinato quelli che ci hanno messo al collo la pietra della “vecchia scuola”, i fenomeni che festeggiano quando il ragazzino americano dice troiadas variadas, quando si valuta una squadra in base ai prezzi e non in base ai famosi maroni che si vedevano meglio ai tempi del pantaloncino Schull, quando si fa finta di non vedere che la scelta Armani di avere Pozzecco come luce per un settore giovanile quasi da rifondare non vuol dire nascondere al genio che ci sono cose importanti da fare e da imparare per evitare che il solito fesso dica che hanno portato Dracula all’Avis, come se il nostro Gianmarco non sapesse che per lui è il tempo di nuove mele e non di vecchie birre. Un letto sotto l’acero saccarino che sembra più bello di quello dalla gemma rossa per dare respiro a polmoni intasati da troppo fumo, appesantiti da troppo alcool, esauriti da troppi respiri profondi per sopportare di tutto e di più adesso che ci sentiamo così lontani, mentre vorremmo essere così vicini.
Pensieri in libertà.
A Piero Bucchi che corre in Europa, che mette in squadra un’altra guardia, nel caso Price, il sogno di Voltaire: Tutti i generi di squadra vanno bene, tranne il genere noioso.
Per Matteo Boniciolli che doveva chiedersi, molto prima di iniziare la politica del sorriso, cosa poteva esserci di vero dentro una squadra capace di tradire uno indifeso come Pasquali, vorremmo un intervento con scimitarra di Tanjevic per salvarlo dagli attacchi feroci di chi colpisce tanto per nascondere le colpe di chi ha scambiato persino Arnold per un giocatore integro e vero: L’invidia è come una palla di gomma che più la spingi sotto più ritorna a galla.
A Simone Pianigiani che continua imbattuto: L’arte di guidare la gente è magia liberata dalla menzogna di dover dire sempre la verità.
Al ragazzo Jennings, croce e delizia, più croce che delizia, che viene smascherato persino dalla Gazza degli orgasmi che, per una volta, si è accorta delle bufale dei pifferai, vorremmo ricordare che l’arte della smentita è stata inventata qui dopo aver tirato il sasso. Ha sputtanato chi lo ha persino pagato per imparare a giocare, a governare il suo talento che sembra alto, ma dipende dai collegamenti fra corpo e cervello: quale cuore di giocatore può disprezzare l’oro, a quale gatto non piace il pesce?
Agli allenatori che si lasciano dominare dalle manie dei giocatori, ai giocatori che vogliono essere al centro dell’attenzione fregandosene della squadra, a quelli che hanno sempre un colpevole da far divorare dalla folla: non abbattete mai una palizzata prima di conoscere le ragioni per cui è stata costruita.
A Boniciolli, a Sacripanti, a Meneghin, a Pozzecco, a Pancotto, a Renzi, a Proli più che a Zanca, a Pianigiani, a Frates, a Bodiroga e persino a Gentile un pensiero di Arturo Graf: Se pretendete e vi sforzate di piacere a tutti, finirà che non piacerete a nessuno.
Sosta di ristoro. Volete sapere da dove vengono le citazioni? Fumetti, enigmistica, roba da malati. Delusi? Pazienza.

Per i tifosi che lasciano le curve, che tentano di avere un dialogo dopo aver concesso tutto ricordiamo che l’amore non è cieco, è soltanto presbite. Infatti comincia vedere i difetti via via che si allontana.
Agli allenatori in crisi basta che non la facciano leggere ai loro giocatori in crisi: l’uomo più forte è quello resiste di più da solo.
Datemi un’aspirina, sì, certo è tempo di pagelle nella speranza che le valanghe a Cortina non abbiano soffocato Claudio Pea al punto da dimenticarsi che deve lavorare anche sul suo sito da grande dannato.
10 Ad ATRIPALDI, a Biella, a Bechi, a Baiesi perché la partita di addio, insomma quella che potrebbe essere l’ultima nel vecchio palazzo, anche se forse con Avellino sarà ancora vecchia arena, è stata giocata benissimo, perché abbiamo visto una squadra, una società, abbiamo capito tante cose persino l’insistenza su uno come Gaines.
9 A Giorgio VALLI per la resistenza sulla barricata di Ferrara dove lo ha protetto in tutte le maniere Sandro Crovetti che ha fatto di questa società il grande capolavoro anche con mezzi limitati. Battersi per ridare spinta al progetto, agli uomini, tutti uniti e questo il ragionier Filini deve saperlo.
8 Al poeta JAABER perché lui sa chi lo aveva scelto come uomo base, perché vive il professionismo senza dimenticare che intorno a lui esiste la vita, una città quasi eterna, la sua gente. Scoprire la vita degli altri, ecco il compito per gli stranieri scontenti, per i loro agenti, per le loro mamme.
7 A Nando GENTILE, voto in linea con le vittorie nel campionato da quando ha “dovuto” prendere il posto di Repesa. Ha dentro qualcosa di speciale, ma non dimentichi mai che fra un mese invidieranno anche lui e allora comincerà il difficile.
6 A Zare MARKOVSKI che si avvicina minaccioso al banco dei testimoni per raccontare la sua verità di oggi con questa Avellino che ci regalerà un Crosariol da mischia europea anche se non piace ai tecnici di azzurra e ai proprietari che hanno avuto a che fare con questo timidone travestito da bullo, le verità di ieri, prima sulla Virtus e poi sull’Armani. Attenti a questo lupo, sembra gentile, ma ha denti forti.
5 A Matteo BONICIOLLI per non aver capito che tipo di squadra avrebbe dovuto cambiare. Guai all’allenatore che vede oltre il suo naso, che tratta male giocatori protetti da agenti importanti, sostenuti da chi ama farsi sostenere fuori dalle righe. Doveva essere umile, deve ritrovare la miniera non la vetrina e Zorzi gli dia una mano.
4 Al genietto VITALI che cambia troppo spesso umore, che dice di non soffrire il fischio della platea, che pattina sul un lago gelato ma dalla crosta non consolidata. Si faccia una ragione della sua fortuna: hanno puntato su di lui per costruire la nuova Olimpia sulle macerie della Regina Bianca. Deve crederci ogni partita e in ogni allenamento.
3 A Giannetto ZAPPI, unico candidato federale per gli allenatori pro, a Palombarini, Persichelli e Ragazzi, unici candidati per la categoria giocatori non professionisti perché ci sarebbe piaciuto se avessero avuto degli ostacoli come potrebbe averli il Giancarlo Solvetti, unico candidato fra i consiglieri per cui Meneghin deve battersi senza rischio di trappole. Loro ci diranno che nelle primarie sono stati prescelti ed hanno già lottato, ma a noi piacerebbe lo stesso vederli fremere, facendoci conoscere i motivi per cui si sentono adatti alla carica.
2 A Romeo SACCHETTI per aver scoperto che Forte, chissà perché gli mettono un accento sulla e, non è un tipo di cui fidarsi quando promette di essere leone. La categoria è già piena e adesso vorrebbero farci sapere che Allan Ray è uno di questi. Felicissimi di aver sbagliato giudizio, ma a Boston non l’hanno mai pensata in questo modo e avrebbero voluto dirlo a Roma se fossero stati interpellati.
1 Alla RISSA verbale di Caserta, roba all’italiana con troppi che dicevano tienimi altrimenti faccio una strage, perché avremmo voluto goderci la panoramica SKY della palestra ausiliaria del Pala Maggiò che porta agli spogliatoi ricordando i giorni in cui venne costruita, ricordando gli uomini che hanno camminato su quel legno meraviglioso, dal grande sognatore presidente, al grande sognatore allenatore, al grande manager, ai grandi giocatori, ricordare Maggiò, Tanjevic, Sarti, Oscar e anche Gentile che, per fortuna, era fuori campo.
0 A SKY che ha fatto un mricragnoso sconto stress alla stampa scritta accettando di trasmettere le partite di eurolega italiane alle 20.45 invece che alle 21. Ultimo regalo prima del divorzio? Ma è un regalo vero? Non si poteva fare qualcosa di meglio? Non diteci che avere il Sei Nazioni di rugby vuoterà le vostre casse per cui….Ragazzi non scherziamo, a noi vanno bene le vostre dirette, sull’audio ci si mette d’accordo e poi non è obbligatorio andare dietro la lavagna di Tranquillo, a noi va bene tutto anche se restiamo sempre un po’ confusi davanti alla programmazione perché la concomitanza di partite si potrebbe forse evitare studiando il calendario con l’ULEB. O no? Non diteci di no, offendereste il a malato che è rimasto in noi sotto l’acero saccarino.
Oscar Eleni

di Stefano Olivari

Chiunque può dire la sua sul calcio, non andando molto lontano dalla competenza di un addetto ai lavori: fortuna e condanna di un gioco ipnotico nella sua bruttezza e capacità di ispirare collegamenti anche in menti ottuse. Però non riusciamo ad abituarci al fatto che al cinema i riferimenti temporali al calcio, che fanno tanto generazionale, siano tirati via senza nemmeno un controllo su un qualsiasi annuario. Anche una delle migliori opere viste di recente, ‘Stella’ (sulla carta il solito film francese sulle difficoltà di integrazione e sull’incomunicabilità, in realtà commovente inno alla necessità del’interclassismo) di Sylvie Verheyde, presentata nell’ultimo Venezia, cade in questo tipo di sciatteria. Il film è ambientato nel 1977, con corretti riferimenti alla moda ed anche alle canzoni (‘Ti amo’ di Umberto Tozzi, in Francia un vero culto, è proprio di quell’anno: fra l’altro vinse anche per distacco il Festivalbar), ma quando si va sul calcio il citazionismo tradisce: credibili gli avventori che nel bar parigino di periferia tifano per il Saint Etienne contro il Bayern Monaco nella finale di Coppa Campioni, perchè davvero il Saint Etienne di Robert Herbin era amato in tutto il paese, ma peccato che quella storica finale fosse stata giocata nel 1976. Un po’ come il colpo di testa brasiliano parato sulla linea da Zoff all’ultimo minuto: Paulo Isidoro, Cerezo, Oscar, Junior, ad ogni rievocazione ‘storica’ del 1982 il nome del colpitore cambia (risposta esatta: Oscar). Forse l’imprecisione è il prezzo da pagare per entrare nella memoria collettiva.

di Stefano Olivari

”Degli errori arbitrali non abbiamo mai fatto una malattia”. Attacco dell’editoriale di prima pagina non dell’Herald Tribune, ma di Tuttosport di ieri a firma Paolo De Paola. Finalmente una battaglia per l’etica sportiva? No, semplicemente un fallo da rigore di Mellberg su Jovetic ed un gol ingiustamente annullato a Gilardino in Juve-Fiorentina. Errori normali che non meritano tanti commenti, a meno di pensare che Collina sia corrotto (allora bisogna avere le palle di scriverlo) e non dipendente dal livello medio degli arbitri a sua disposizione. Ma il target di Tuttosport è fondamentalmente lo juventino, in attesa che MoggiFoschi rifondi il Toro. Altra musica sulla Nazione, o per meglio dire sul QS, dove Xavier Jacobelli chiede la cacciata di Collina ricordando come la Fiorentina sia stata penalizzata da ’10 errori macroscopici’ e che ci sia un accanimento contro i Della Valle: non conserviamo gli arretrati, magari per la furbata di Palermo di Gilardino il QS avrà scritto un articolo di segno opposto. L’attacco dell’editoriale della Marrone ci ha colpito perché Tuttosport oltre che di calciomercato parla solo di errori arbitrali a favore delle concorrenti della Juventus, Inter ovviamente in testa. Che sui ‘suoi’ giornali ovviamente vince senza rubare nulla: secondo voi Corriere e Gazzetta hanno parlato giovedì di qualificazione alle semifinali di Coppa Italia dovuta ad un gol in fuorigioco? Sì, ma solo per i lettori muniti di microscopio. Per non parlare del tono generale, con l’allenatore di turno catalizzatore di tutte le antipatie e Moratti che gioca a fare il padre nobile. Sorvolando sull’universo Milan, dove i discorsi sono piuttosto scontati (un dipendente che parla male del padrone non può esistere: non vedrete mai Berlusconi attaccato sul Giornale, così come Montezemolo sulla Stampa), rimaniamo ammirati anche dalla stampa romana: con il Corriere dello Sport costretto a parlare del fuorigioco di Mexes solo perchè l’errore ha danneggiato il Napoli (legge del bacino d’utenza) ed altri fogli oltre i confini della decenza: in alcuni casi aspiranti mantenuti di Stato grazie al solito trucchetto. Cosa vogliamo dire? Che il ‘fatta salva la buona fede degli arbitri’ è una formula idiota, viste anche le esperienze del recente passato, ma anche che discutere dei singoli errori è un’idiozia: il Celi di ieri sera è stato crocifisso sia dall’Inter che dalla Sampdoria. La questione diventa interessante solo quando c’è un disegno. Collina è l’uomo del Milan, come si sente dire da vari addetti ai lavori (quasi tutti screditati) da metà estate? Collina è l’uomo dell’Inter, come di fatto insinuano i media che non hanno base a Milano? Collina è l’uomo dei poteri forti, che blandisce le piccole, ‘killera’ le medie e lavora per le quattro grandi in Champions per l’eternità, come qualche plurisqualificato dirigente ovviamente delle medie va dicendo da mesi? Se c’è il disegno bisogna scriverlo, se non c’è bisogna chiedere scusa all’intelligenza dei lettori. Ammesso che ci sia, perché per noi (avvertenza: siamo di parte, facendo parte della seconda categoria) il cliente è molto peggio della prostituta.
stefano@indiscreto.it