Archivio per gennaio 12th, 2009

Siamo professionisti della nostalgia, ma non al punto di negare che il pubblico del basket italiano sia sostanzialmente quello degli Ottanta: parliamo di presenze fisiche nei palazzetti, essendo impossibile confrontare le audience di Sky con quelle delle (poche, e quasi sempre il solo secondo tempo) partite in chiaro trasmesse dalla Rai nella decade d’oro e nel quinquennio di platino (quello del contrattone imposto da Gianni De Michelis, all’epoca presidente di Lega). Per questo è incomprensibile la deriva monoculturale, per non dire monomaniacale, dell’informazione sportiva: quasi solo calcio, quasi solo i ‘casi’ di quelle tre o quattro squadre oltre che ovviamente di quella del paesello dell’editore. Per questo non ci siamo ancora abituati alla scomparsa del basket dalle pagine sportive, non diciamo dei giornaletti che vivono di copia & incolla rubando contributi statali ma del primo quotidiano d’Italia. Di solito il lunedì, complice l’aumento dello spazio per gli ‘altri sport’ (stiamo male al solo scriverlo) e sperando che la Ferrari faccia schifo in modo da non fagocitare lo spazio lasciato libero da Pato e Mourinho, sul Corriere della Sera appare infatti un punto sul campionato di serie A curato da Werther Pedrazzi. Oggi, evidentemente per mancanza di spazio, il basket ha toccato il punto più basso sul primo quotidiano nazionale: nel giorno dopo l’ennesima cavalcata del Montepaschi e dopo comunque le partite di Roma e Milano (se proprio la si vuole mettere sul piano del riscontro di pubblico), solo risultati e classifica. Altri tempi, lontani ma non lontanissimi, quando sullo stesso giornale si trovavano addirittura i tabellini completi non solo della massima categoria ma anche della allora A2. E non parliamo di altre testate con ambizioni nazionali, prive spesso anche dei semplici risultati. Cosa è successo nel frattempo? Ci siamo persi qualcosa? Perché i numeri degli appassionati, purtroppo o per fortuna, sono sempre quelli.
Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it

Non far mai sapere al­la mano destra ciò che fa la sinistra. Questa sembra essere la filo­sofia adottata dalla Kawasaki nel tormen­tone natalizio del ”mi ­ritiro- non- mi ritiro”. Così mentre con uno stringato comunicato (…) Yoshio Kawamu­ra, managing director di Kawasaki Motors racing B.V., sembra to­gliere ogni speranza agli appassionati della marca di tutto il mon­do, annunciando un ri­tiro atteso, temuto ed a lungo rimandato, nello stesso seppellisce nel testo della missiva un messaggio criptato. Quando infatti dice che la Kawasaki ha deciso di sospendere la sua attività all’inter­no della MotoGP nel 2009, lascia infatti la strada aperta ad un ri­torno, e dove aggiunge che allocherà le risor­se in modo più efficien­te, ammette implicita­mente che le due verdi Kawasaki rimarranno in pista a combattere. Purché qualcuno si faccia carico degli oneri finanziari neces­sari per affrontare la stagione, naturalmen­te. In pratica Kawamura ci infor­ma che l’attuale situazione finanzia­ria della MotoGP, dove tro­vare sponsor è un’im­presa ed i salari dei pi­loti sono trascinati ver­so l’alto dalla quasi imbattibilità di Valen­tino Rossi, non soddi­sfa la Kawasaki che passa la mano in atte­sa di tempi migliori. A chi? Per il momento ­all’at­tuale team manager, Michael Bartholemy. Un ritiro di facciata, dunque, le cui modali­tà probabilmente sono state determinate dal­la necessità di non pa­gare le pesanti penali fissate dal contratto che legava l’industria giapponese alla Dorna sino al 2011. A questo punto, però, non si ca­pisce perché annun­ciare il ritiro… a meno che ciò non serva per azzerare contratti in essere troppo onerosi. Da oggi in poi, infatti, salve le eventuali ri­valse legali di Hopkins e Melandri, John e Marco dovranno ridi­scutere gli accordi con il nuovo soggetto giuri­dico. A pensare male, si sa, si fa peccato…ma molto spesso ci si pren­de.
(Fonte: Paolo Scalera, Corriere dello Sport di sabato 10 gennaio)

Non si sa che fare con la tessera (o carta) del tifoso: il Viminale (soprattutto il ministro Maroni) vorrebbe tanto che dalla prossima stagione fosse obbligatoria. Ma il primo passo potrebbe essere quello di renderla necessaria almeno per andare in trasferta. Difficile, se non impossibile, imporla. Si rischiano contenzioni giudiziari infiniti. Si può però trovare una strada per convincere i club ad adottarla: deve essere un’operazione di marketing, più che di polizia. Bisogna convincere soprattutto gli ultrà che non ne vogliono sapere, temendo di essere ulteriormente schedati (ma già lo sono, vedi gli abbonati): non sarà per niente semplice. L’operazione fatta in accordo con Figc e Lega Calcio. Si dovrebbero sentire anche i rappresentanti dei tifosi. Al momento solo Milan e Inter l’hanno adottata: il prossimo turno la tessera fa il suo esordio in trasferta, nel senso che solo i tifosi dell’Inter che ce l’hanno potranno andare a Bergamo (saranno circa 2.000). Ma così si creano discriminazioni con le altre società. La Lega potrebbe affiancare i club almeno nelle pratiche burocratiche. Bisogna studiare una strada comune. Matarrese si sta già muovendo. Non c’è molto tempo.
(Fonte: Fulvio Bianchi, Repubblica.it)
L’AUTOREVOLE COMMENTO DI INDISCRETO: come ha detto Bianchi chi è abbonato con i form di iscrizione di oggi è di fatto già schedato, al di là del fatto che la presentazione del documento di identità ai cancelli sia quasi sempre un optional. Tutto il resto, non solo la ridicola carta del tifoso, è uno spot a favore del rimanere a casa davanti a Sky. Ma se la gente normale (cioé quella che paga i conti, non gli ultras che commercialmente vagono meno di zero) rimane a casa, i fantomatici nuovi stadi per le famiglie saranno solo un pretesto per edificare quasi gratis. Basta leggere i nomi dei proprietari delle aree per capire il senso dell’operazione. Poi casualmente tutti i grandi costruttori sono stati folgorati sulla strada dell’editoria: al centesimo pezzo su quanto è bella l’Allianz Arena viene voglia di leggere solo Tex.

Oscar Eleni dai Pirenei francesi, paese spagnolo di Llivia, dove abbiamo cercato di convincere un ex pugile, Fabian Martin, miglior pizzaiolo del mondo, a seguirci nell’isola di Hamilton dove potrà sperimentare la sua pizza liquida all’oro commestibile, dove potrà fare di tutto perché sembra che in quella parte dell’Australia abbiano deciso di pagare benissimo il guardiano della barriera corallina, dove gli daremo da bruciare nel forno a legna tutti i passaggi cruciali della stagione di rinnovamento italiana che porta dal commissario al presidente Dino Meneghin, facendogli leggere prima tutto quello che è stato detto sulle famose schiene dritte che la decenza ora lascia finalmente da parte proponendo un consiglio federale che cambierà tutte le facce, a parte quelle dei rappresentanti delle associazioni giocatori ed allenatori che, come sappiamo bene, hanno sempre lavorato per il bene comune e quindi meritano almeno il rinnovo della poltroncina.
Felicità è scoprire che per riavere Ettore Messina i defenestratori di Maifredi sono pronti a ripudiare Carletto Recalcati che pure li incitava a combattere il tiranno, soprattutto adesso che la stagione sembra premiare anche qualche giocatore italiano. Strana gente in strane crociate. E’ il paese dove se non lo fai strano non ti notano, un po’ come le telecronache: ascolti i telecronisti inglesi, americani, francesi, spagnoli e sono in partita, vai a casa Taucer e risorgi con dentro energia, ma torni a deprimerti appena ti obbligano al lecca lecca nostrano dove il Tranquillo “minaccia” chi non legge bene nel futuro del ragazzo Jennings, uno di talento che deve lavorare tantissimo e non ascoltare balle spaziali, e dove si invitano gli stoppatori del giovanotto che ha sfondato i muri del liceo, senza sentire l’esigenza di ascoltare i muri dell’università, farsi dare il disco con le immagini preziose perché un giorno potranno raccontare ai nipotini, anche quelli sterili?, quelli mentalmente non portati alla famiglia?, che hanno stoppato un ragazzo pagato per imparare nel cortile del basket italiano che sembra un po’ come i centri della salute dove la gente paga per digiunare, dove la gente scappa di notte per riempirsi di dolci e liquori per tornare, poi, pentita alla zuppetta di carote la mattina seguente.
Ci vuole fantasia da pizzaiolo mondiale per inventarsi acrobazie e la pizza con le nubi, ma ce ne vuole molta di più per capire cosa succede davvero in questo paese condannato dall’attuale commissario tecnico a mangiare fango, altra dieta speciale da isola, nel momento in cui l’Europa non sembra sbatterci tutte le porte in faccia. Dicono che la Nazionale deve essere al primo posto nel pensiero comune, in quelli di chi vota e di chi paga per essere votato, ma non ci sanno dire come avrebbe reagito il Paese dei mangiatori di fango se l’Eurolega avesse bocciato tutte le nostre squadre, a parte Siena, che nessuno osa criticare perché se lo facesse non lo prenderebbero neppure a Colorado Cafè, se nelle altre competizioni internazionali avessero fatto tutti come la Fortitudo che, finalmente, è stata messa davanti alla pizza con le uova da chi aveva perdonato tanto sapendo che avrebbe fatto tanto male, come sempre del resto. Non ci sono opinioni a sostegno della tesi che chi vuole mettere Messina sulla panchina di Azzurra per la qualificazione difficile, ma non impossibile contro la Francia, stia seguendo il suggerimento di chi ha scoperto in Recalcati un atteggiamento ambiguo nella corsa alla costruzione del nuovo consiglio, senza fare posto a quelli che si vantavano di vedere lontano, lontanissimo.
Gloria nel cielo ad Amleto Gentile che ha finalmente accettato di guidare la Lottomatica Roma al posto di Repesa, al posto di Djordjevic, al posto di tutti quelli che sono stati interpellati per traghettare una squadra incompleta da una parte all’altra dell’inferno nella Roma bella do Repesa, un po’ come Prodi, è considerato colpevole di tutto, di una finale scudetto, della bella eurolega, ma non certo per merito suo, prima era Saibene, poi lo spirito santo di Nando, per portarla nella valle di Elah. Sapevamo, da sempre, che Nandokan, era nato per guidare gli altri, lo faceva da giocatore ragazzo, da giocatore campione, da giocatore esperto, ha spezzato tradizioni, ha spezzato tavoli, ha spezzato coscienze, ma è sempre andato bene e non doveva mancare in questo viaggio dove Roma sembra poter vincere anche le partite che meriterebbe di perdere come quella contro Avellino. Alleluia brava gente per questo filotto di Cantù alla quinta vittoria consecutiva che mette nei guai e quasi sul moscone Pino Sacripanti. Silenzio assoluto sulle paturnie della Milano che, finalmente, ha deciso di fare chiarezza sul settore superaffollato degli esterni, che comincia a reagire anche con i giocatori che aveva beatificato prima di valutarne lo spessore, cioè prima di capire se erano uomini o caporali, ma anche per loro ci vorrebbe uno stage a Llivia per valutare come funziona la magia della pizza liquida.
Cornamuse abruzzesi per Teramo, Antonelli, Capobianco e Poeta. Capolavoro dell’andata, senza discussione e ci perdoni il Pianigiani da record, ma forse gli porterà un po’ di fortuna non sentirsi beatificato ogni maledetta domenica, ogni santo turno di coppa, perché tutte queste finte benedizioni sembrano portare davvero sfortuna ed incidenti a catena, un po’ come vincere il pallone d’oro. Pagelle sotto le palme dell’isola di Hamilton, dicono che possono pagarti anche 13000 euro al mese se il tuo curriculum sarà convincente.
10 A Marco CALAMAI che giovedì, quando le vedove nere di Ugo vorrebbero attirarmi nel sacro luogo della crescenta libera a Rivabella, verrà premiato a Milano dall’organizzazione Altropallone per il suo lavoro, sono ben 14 anni, con i diversamente abili, con il mondo dove i ragazzi hanno davvero voglia di dare uno sguardo verso l’alto come hanno ricordato anche a Gianmarco Pozzecco che è andato a trovarli e che li ha aiutati a giocare, a ridere, a rivedersi un po’ anche in lui.
9 Al musone CROSARIOL che non piace quasi a nessuno, dove va non vedono l’ora che cambi squadra, persino nella Nazionale dove ci serve e come, dove ci sarebbe servito anche contro la Germania anche se poi Recalcati ci prese in giro sulla domanda quando il tasto da suonare era quello del disastro a rimbalzo, ma bisogna dire che con Markovski è il più abile nel tirare fuori il meglio da questo giocatore che forse diventa bullo sgradevole soltanto per mascherare una vera timidezza, l’impaccio di chi davanti ad un microfono non trova le parole e vorrebbe esplodere.
8 Al CARRARETTO santo di coppa, ma anche del campionato, uno che in Nazionale non è andato quando eravamo alla canna del gas e adesso ci diranno che ha rinunciato lui, proprio lui che accetta di stare in panchina anche per due o tre partite di fila pur di respirare l’aria del club dove si vive alla grande, si vive in grande, si punta a grandi obiettivi. Del resto ci hanno detto che pure Stonerook aveva il male della pietra per l’Azzurro e preferiva curarsi per il club.
7 A BELINELLI e BARGNANI che giustamente ci prendono in giro perché da italiani, da eurocentrici, non abbiamo la pazienza di aspettare almeno un mese di partite prima di dare giudizi che sembrano definitivi. Dall’altra parte del mondo giocano sempre, dici male oggi e quello fa bene domani. Non è come da noi. Ah capirlo.
6 Alla LEGA che sembra decisa a fare finalmente una scelta condivisa da tutti puntano su Valentino RENZI come presidente dell’organizzazione dove si litiga anche per cose banali, ma dove non ci si scandalizza quando si sprecano energie per inseguire l’impossibile: il nuovo presidente deve cercare risorse anche in piena crisi, ma se i proprietari non saranno uniti, non faranno pesare il loro nome, quali porte volete che si aprano?
5 A Riccardo PITTIS che rimbalzando sulle onde dell’eco tranquillo insiste a considerare il possesso alternato come la peggiore delle regole FIBA, la più ingiusta, anche più brutta del famoso fallo da ultimo uomo, anche più indigesta del palming che non porta vantaggi. Abbiamo visto tante volte rovinare partite su palle a due lanciate in aria per favorire, storte per incapacità. Abbiamo visto rovinare partite in tanti modi, anche parlandoci sopra mentre dalle vene sgorga il sangue.
4 A Drake DIENER che l’anno scorso fece cose sublimi con Capo d’Orlando dopo aver vinto una battaglia durissima per l’esistenza, che a Siena lavorò benissimo, ma che adesso sembra sperduto e Avellino, nel supplementare di Roma, avrebbe avuto bisogno del vero Drago non di quello svanito con il quinto fallo di Travis Best.
3 A Cesare PANCOTTO che continua a vedere il bicchiere Fortitudo mezzo pieno, anche dopo partite orribili come quella contro i Dragoni tedesco americani, che continua a parlare di episodi senza specificare se questi sono avvenuti prima o dopo le partite, perché durante gli incontri perduti quello che vedono tutti è un attaccamento all’ignoranza del gioco di squadra che neppure a radio elettra passerebbe sotto silenzio.
2 A Joseph FORTE che contro la sua ex squadra, contro gli ex compagni di Siena ha dimostrato perché era meglio cambiarlo, ha fatto vedere perché non lo avremmo mai riportato in una casa accogliente come quella degli Snaidero perché certa gente la misuri e la pesi quasi subito e non sono preconcetti, diciamo che possono folgorarti un giorno, ma sicuramente ti lasceranno dentro veleno per un anno.
1 Al GAINES biellese che, contrariamente allo splendida evoluzione del Gaines canturino, continua a sbattere sugli stessi muri, incompreso da chi doveva avere in mano il codice per capirne le debolezze. Ci stupiamo che Atripaldi dopo esserselo portato a Treviso, con i risultati che sappiamo, lo abbia rivoluto ancora a Biella adesso che ci sarebbe bisogno di grandi slanci prima dell’inaugurazione di un palazzo dello sport che vuol dire vita nuova.
0 A SKY intesa come organizzazione perché adesso sappiamo chi l’ha favorita quando scelse l’orario delle 21 per la partita serale, quando decise di mandare al manicomio i tapini in battaglia con capiredattori fumanti ogni volta che si gioca una giornata di campionato, ma sappiamo anche chi sono loro, i programmatori, perché mettere alle 21 di una stessa giornata di eurolega tre squadre italiane si chiama masochismo, si chiama danno generico, si chiama quello che volete, ma non certo un favore al basket, una spiegazione logica alla pesca col traino che sicuramente ha tenuto legati alla poltrona quello che guardavano Udine-Siena mentre Roma e Milan bevevano alla fonte degli artisti.
Oscar Eleni

A 70 anni suonati Sergio Vatta si rimette in gioco. Il mago del calcio giovanile, l’uomo che trasformava i ragazzi del Torino in oro, tende a realizzare un progetto che porta avanti da tempo: rifondare l’Unione Sportiva Fiumana, società sciolta nel 1947 dopo il definitivo passaggio di Fiume alla Jugoslavia. Vatta è nato a Zara ed é una delle duecentomila e passa persone che in quegli anni hanno vissuto in 95 campi profughi d’Italia prima di sparpagliarsi per il mondo. Nei campi ha vissuto per dodici anni, ma la Dalmazia, la sua terra, gli è sempre rimasta nel cuore e ci va appena gli impegni di lavoro glielo consentono. Ora vorrebbe riportare in vita quella gloriosa società calcistica, in cui maturarono campioni come Ezio Loik, Rudi Volk, Marcello Mihalich, i fratelli Mario e Giovanni Varglien.
Se dovesse rinascere, la Fiumana avrebbe sede a Torino. In Piemonte risiedono circa 40 mila tra profughi e loro discendenti. Inoltre Torino è la città dove campioni come Loik e i fratelli Varglien hanno mietuto vittorie a ripetizione, vestendo le casacche di Torino e Juventus: il legame con la città è molto forte, dunque, e si può dire che i massimi talenti del calcio fiumano hanno trovato proprio là il luogo in cui esprimersi ai massimi livelli. Tale ordine di considerazioni ha indotto il sindaco del Libero Comune di Fiume in Esilio, Guido Brazzoduro, ad autorizzare la rifondazione dell’Unione Sportiva Fiumana da parte del gruppo di profughi torinesi oggi impegnati in questo inedito tentativo.
La Fiumana ha chiesto di essere ammessa al Campionato di Prima Divisione (la vecchia Serie C/1) per la stagione 2009/10: i promotori dell’iniziativa sono convinti che alla squadra spetta di diritto ricominciare l’attività agonistica – come altre società poterono farlo già nel 1945 – da dove si era forzatamente interrotta nel 1943, poiché quando la società fu sciolta la squadra militava in quella categoria. E ciò in base a due leggi, una del 1952 e l’altra del 1983. L’auspicio di Lucio Toth, presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, è che tutte le componenti del mondo dell’Esodo possano coagularsi intorno alla Fiumana, non facendone altro uso se non quello sportivo. La Fiumana intende interpretare il ruolo di società modello per trasparenza e metodi educativi che vorrebbe impiegare nell’insegnamento dello sport: si inizierebbe col calcio, ma si desidera proseguire con altre discipline, sino a diventare in futuro una polisportiva. Il “progetto Fiumana” è un progetto sportivo ma anche sociale: la rifondazione del sodalizio assume oggi un preciso significato, in quanto è intenzionato a diventare un polo di aggregazione per Esuli e per Rimasti.
Affinché nella storia di queste terre, come ha scritto Silvio Forza rispondendo sulle pagine de La Voce del Popolo a Lucio Toth, “Alida Valli possa diventare un’attrice (anche) dei croati di Pola quanto Mate Parlov deve essere considerato un pugile campione anche degli esuli”. Ecco, noi italiani rimasti a Fiume vorremmo veder messi uno accanto all’altro Abdon Pamich e Luciano Sušanj, perche ognuno di loro ha scritto pagine storiche dell’atletica leggera, oppure Rudi Volk e Pero Radaković, Ezio Loik ed Enzo Zadel, Mihalich e Bruno Veselica, i fratelli Varglien e le tre generazioni di portieri di casa Ravnich – tutti da considerare con le dovute proporzioni nella scala dei valori. Ognuno di loro ha segnato un’epoca, lasciando tracce più o meno profonde. Un discorso che si riallaccia in qualche maniera al tema dell’assurda, anacronistica frattura tra esuli e rimasti, perché “anche noi condividiamo la necessita di uscire dal ghetto”, e del fatto che l’Italia di oggi a volte rivendica il suo diritto all’italianità culturale di queste terre, e poi cade nel tranello dell’approssimazione, della trascuratezza, dell’ignoranza delle vicende del passato, con corrispondenze da Rijeka, Opatija, Poreč, Pula, disconoscendo i toponimi italiani, storici, di queste località.
(Fonte: Bruno Bontempo, Panorama)
L’AUTOREVOLE COMMENTO DI INDISCRETO: progetto emozionante e con grandi fondamenti sia nella storia che nell’attualità (Torino), ma è matematico che venga bollato mediaticamente come un progetto ‘di destra’ anche se al momento siamo ancora nella fase della simpatia (a una bella storia non si rinuncia). Con il paradosso che nemmeno la destra attualmente al governo lo difenderebbe: meglio dare al popolo Beckham, sia pure solo per un mese, che ricordare la vigliaccheria di stato ed aprire fronti polemici a causa di poche migliaia di persone oltretutto divise in correnti e sottocorrenti. In questo momento Abete avrebbe meno grane di immagine iscrivendo alla LegaPro una squadra palestinese: insomma, forza Vatta ma non ci crediamo.

Luciano Moggi, cosa pensa della sentenza che l’ha condannata a un anno e sei mesi per violenza priva­ta, ma l’ha prosciolta dal­l’accusa di associazione a delinquere?
«Io me lo aspettavo. Mi aspet­tavo questa sentenza. Mi di­spiace soltanto per mio figlio Alessandro che c’è rimasto male. Ma è una sentenza pa­radossola e per me è stata pre­sa per dare un contentino al pm Palamara. D’altra parte dopo l’entità delle richieste, non potevano smontare tutto. E’ caduto il masso, ma almeno un mattone doveva rimanere. Se non ci fosse da piangere, ci sarebbe da farsi una grande risata…» Qual è l’aspetto così diver­tente?«Parliamo delle motivazioni. Io sono stato condannato per violenza privata nei confronti di due giocatori: Amoruso e Blasi. Vogliamo parlare di Blasi?»
Parliamone.
«Arriva alla Juventus dopo 8 mesi di squalifica e ai primi di luglio inizia ad allenarsi. A fi­ne luglio mi chiama il suo pro­curatore Antonelli a chieder­mi un prolungamento del con­tratto e un aumento. A parte il fatto che non sapevo neppure che Antonelli fosse diventato il suo agente, perché nei docu­menti della società era stato scritto diversamente, ma la cosa non mi va giù. Vado da Blasi e gli dico: non farmi chia­mare dal tuo procuratore per chiedere l’aumento, meritate­lo sul campo e vedrai che ti verrà dato. E infatti, dopo 27 presenze, pochissime partite saltate e una buona stagione, il contratto di Blasi fu ritocca­to e allungato. Ma il fatto di avergli detto: meritati l’au­mento e non farmi chiamare dal tuo procuratore è conside­rato violenza privata. Ve ne rendete conto? Allora nessuno può più fare il dirigente in Ita­lia. Qualcunque dirigente che fa l’interesse della sua società risponderebbe come me, ora stia attento! Rischia un anno e sei mesi».
E la questione legata ad Amoruso?
«Ancelotti viene da me e mi di­ce: cediamo Amoruso, non mi serve. Allora io convoco Amo­ruso, che per inciso dalla Ju­ventus ha incassato 14 miliar­di di lire, e gli spiego la situa­zione. Lui non vuole lasciare la Juventus, anche perché qui poteva prendere i premi per la Champions, lo scudetto o altri successi, allora gli dico: guar­da che se rimani te ne vai in tribuna. E così mi becco la con­danna per violenza privata. Capito l’assurdità? Allora di­cano pure che un dirigente de­ve sperperare i soldi della sua società. O dicano che i calcia­tori sono gli unici che possono comandare. Praticamente la sentenza stabilisce questo. Stiano attenti gli altri dirigen­ti! Anche all’estero, perché mi sembra che Benitez si sia comportato allo stesso modo con Pennant. Magari condan­nano pure lui…».
E ora?
«Queste accuse non reggeran­no in appello. Il processo di se­condo grado non saranno i tempi supplementari di que­sta vicenda. Lì andiamo al gol­den gol. Ma dopo questa sen­tenza mi aspetto che direttori sportivi e società di calcio in­sorgano perché tutti potrebbe­ro essere accusati di violenza privata. Se la Lega e le società non fan­no sentire la loro voce può es­sere la fine di un modo di am­ministrare le società di calcio. Spero che nessuno sottovalu­ti la portata di queste senten­za ».
(Fonte: intervista di Guido Vaciago a Luciano Moggi, Tuttosport di venerdì 9 gennaio 2009)
L’AUTOREVOLE COMMENTO DI INDISCRETO: se il procuratore di Blasi all’epoca della richiesta di aumento fosse stato Davide Lippi o Zavaglia o direttamente Alessandro Moggi, Luciano Moggi gli avrebbe risposto ed anche con un certo trasporto. Senza alcun interesse personale, ovvio, lo stipendio della Juventus gli bastava e avanzava….Quanto ad Amoruso, tutti i calciatori e a maggior ragione i quasi ex, ambiscono a rimanere nel giro: anche in questo caso l’omertà non si può giustificare, ma almeno spiegare sì. Ultima cosa: non si hanno notizie dell’esistenza di Davide Benitez…

La partita di papà. Roma-Milan significa anche Nils Liedholm: il Barone, scomparso nel 2007, visse 27 stagioni in rossonero e 12 in giallorosso. Il figlio Carlo, 50 anni, custodisce molti ricordi. Quali sentimenti legarono suo padre a Roma e Milan? «Con il Milan c’ era un rapporto famigliare. La Roma gli diede le maggiori soddisfazioni. Diceva “Roma è una grande città, non capisco perché non possa avere una grande squadra”. La più grande delusione? «La sconfitta nella finale di Coppa dei Campioni. Gli era già sfuggita da giocatore e sperava di rifarsi da allenatore». È vero che fu lei a consigliare Ancelotti a suo padre? «Da giovane seguivo il calcio di C. Gli segnalai questo ragazzo e andammo insieme a vederlo, prima a Parma, poi nello spareggio-promozione per la B. Carlo segnò due gol e la Roma poco dopo lo acquistò». Suo padre stimava l’ Ancelotti allenatore? «Il Milan di Ancelotti gli ricordava la sua Roma». Nils Liedholm e Berlusconi? «Le incomprensioni furono solo calcistiche. Berlusconi guardava al futuro e papà aveva le sue idee. Ma due Bilance ascendente Bilancia s’ intendono e Berlusconi si è comportato da signore con papà». Nils Liedholm e Dino Viola? «Coppia straordinaria. Il presidente della Roma aveva senso dell’ humour. C’ era intesa». Un grande dolore di papà? «La morte di Di Bartolomei» Carlo Liedholm tifa per? «La Roma».
(Fonte: Stefano Boldrini, Gazzetta dello Sport dell’11 gennaio)
L’AUTOREVOLE COMMENTO DI INDISCRETO: se per ‘signore’ si intende che l’ha pagato e che non ne ha mai parlato male, cosa che nel calcio anche di serie A non è scontata, il ricordo di Carlo Liedholm è senz’altro realistico. Ma il ‘badante’ e nelle ultime partite direttamente supplente (ottimi risultati, vista la qualificazione Uefa ottenuta nello spareggio con la Sampdoria) Capello del 1987 non fu certo un attestato di stima.

Piccoli fans

Facebook ha invaso (per fortuna) l’intelletto di milioni di persone senza colpo ferire e ridendosela di gusto. Ogni giorno andiamo in caccia di gente appena nota per scrivergliene quattro, aspettando così tanto l’effetto che fa ogni nostra parola che nemmeno nell’800 delle corrispondenze multiple. Nei giorni di feste Facebook ha di molto attutito la noia e l’immersione nei suoi meandri ha creato riflessioni. Qual è il personaggio calcistico con il maggior numero di fan? Chi ha una “positività” maggiore rispetto ad altri? Chi è il personaggio (se mai ce ne fosse almeno uno) che ha un rapporto diretto con i fan? Quali sono i valori che si riconoscono al personaggio? Qual è la caratteristica per ogni personaggio segnalata maggiormente nei commenti delle pagine fan?
Tutte queste informazioni, oltre ad essere l’acme del “fancazzismo”, possono diventare pane e companatico per chi deve mettere in moto strategie pubblicitarie sul web e offline. Ad esempio, vedremmo bene una pubblicità di scarpe che avesse per testimonial Massimo Palanca, baffo spiovente O’ Rey di Catanzaro (in due fasi, dal 1974 al 1981 e dal 1986 al 1990), del cui piedino 37 ipersensibile 2.188 persone ad oggi ancora si ricordano. Per una lozione di ricrescita capelli, un testimonial sensato potrebbe essere Marco Osio, sindaco di Parma e spesso citato per il suo ribellismo tutto in quei capelli bradi e, per molte donne, irresistibili (anche se un pensierino su Tomas Skuhravy non sarebbe malvagio). Se poi vogliamo promuovere prodotti regionali, per la pizza affidiamoci senza remore a Giuseppe “Pal e Fierr’” Bruscolotti, nel cuore di 244 fans, per esportare il pecorino in Sud America puntiamo su Enzo Francescoli con il suo codazzo di 13.502 fan e per far assaggiare il pesto in Inghilterra sviluppiamo una campagna intorno alla figura di Stefano Eranio, che non ha pagine fan italiane ma ben due inglesi con 201 iscritti, spesso tifosi del Derby County che lo vorrebbero manager del loro team. Se poi vogliamo vendere pacchetti vacanza ai canadesi, una scelta oculata potrebbe essere Roberto Bettega, che ha molti nordamericani tra i suoi 257 fans, mentre per fare un affare in Turchia focalizziamo energie creative intorno a Emre Belozoglu, ancora molto stimato dai compatrioti soprattutto perché ha giocato nel nostro campionato con l’Inter. I tortellini in Ungheria potrebbero sfondare solo se ci mette la faccia Lajos Detari, che ha 127 fans accaniti, e la robiola bresciana può essere esportata in Romania solo se ci affidiamo a Georghe Hagi con la sua dote di 55.559 fans. Come modello di indumenti intimi un pensierino su Massimo Carrera, idolatrato dalle donne per la sua bellezza, si potrebbe ancora fare, mentre, dopo un reale ritocco, nessuno toglierebbe una pubblicità dentistica a Daniel Fonseca, chiamato “Coniglio” da quasi tutti i suoi 40 pochi ma buoni fans. Infine promuovete con Mario Faccenda un coiffeur qualsiasi e il successo sarà assicurato.
Jvan Sica
(per gentile concessione dell’autore, fonte: Letteratura sportiva)