Archivio per gennaio 13th, 2009

A 84 anni si può morire senza suscitare troppa pietà, e Albino Friaca Cardoso adesso è morto. Di polmonite, all’ospedale di Itaperuna: circa 300 chilometri a nord del Maracanà, per dare un’idea. Friaca era stato uno dei migliori brasiliani della generazione perduta degli anni Quaranta con la maglia del Vasco da Gama (con trascurabili parentesi nel San Paolo e nella Ponte Preta), ma soprattutto era stato lui a segnare il gol del vantaggio nella Derrota, La Sconfitta con tutte le maiuscole del caso. Il 16 luglio 1950, alla sua settima partita con la Selecao aveva finalmente trovato la prima rete: si era all’inizio del secondo tempo. Poi il ritorno lento verso centrocampo di Obdulio Varela e tutto il resto: poesia allo stato puro, che purtroppo ha ispirato cattiva poesia. In contrasto anche con le immagini: vera l’idea del capitano uruguayano di spegnere l’entusiasmo brasiliano, ma i due minuti furono quasi tutti persi con proteste all’indirizzo dell’arbitro Reader (a quasi 54 anni il più vecchio ad avere mai diretto una finale mondiale) per un presunto fuorigioco di Friaca, che con un destro sporco aveva sfruttato l’assist di Ademir. Friaca-Zizinho-Ademir-JairChico: una prima linea passata alla storia senza i due dell’epoca ritenuti più forti: Tesourinha, fermato da un infortunio prima del Mondiale, ed il pazzo (anche in senso letterale) Heleno. Tornando a Friaca, nel giorno del ‘Maracanazo’ si fece comunque valere al di là del gol: fu il solo dell’attacco a non farsi condizionare dall’atmosfera assurda ed ebbe una buonissima occasione per il due a due che avrebbe evitato la fusione alle ventidue medaglie d’oro fatte preparare dal presidente del Brasile. Fu anche l’ultimo brasiliano a toccare il pallone prima che Reader fischiasse la fine della partita. E l’inizio sia dell’incubo che della consapevolezza che giocando con un po’ di testa nessuno avrebbe potuto battere quelli che sarebbero diventati i verdeoro, abbandonando la sfigata maglia bianca.
Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it

Il 21esimo Campionato del Mondo di Pallamano indoor che si terrà in Croazia dal 16 gennaio all’1 febbraio ha alle spalle una storia di grandi squadre e sfide sorprendenti. La prima edizione del 1938 fu vinta dalla Germania nazista sull’Austria (ribadendo la classifica delle Olimpiadi di Berlino 1936), pochi mesi prima che l’Anschluss definisse per poco tempo i contorni di una squadra irresistibile. Dopo questo esperimento con un girone all’italiana di quattro squadre (parteciparono anche Svezia e Danimarca), gli anni ’50 videro altre due edizioni del Mondiale (1954, 1958), con la vittoria in entrambi i casi della Svezia. Gli anni ’60 e 70 furono gli anni della grande Romania (argento anche a Montreal 1976 e doppio bronzo a Monaco 1972 e Mosca 1980) di Nicolae Nedef, che inventò un sistema di gioco basato sul ritmo forsennato e sui cambi sistematici dei giocatori che dovevano dare il massimo nella porzione di tempo in cui rimanevano in campo. Protagonisti assoluti di quegli anni furono i campionissimi Gheorghe Gruia e Radu Voina, insieme al portiere-piovra per eccellenza Cornel Penu, vera spina dorsale della squadra campione nel 1961, 1964, 1970 e 1974. La vittoria del 1961 e quella del 1970 inoltre furono ottenute superando Cecoslovacchia e Germania Est soltanto dopo il secondo tempo supplementare. Ad inframmezzare, nel 1967, la cavalcata romena fu la Cecoslovacchia del re del gioco di contromano Ladislav Beneš e di Jiří Kavan, bombardiere devastante. Nel 1978, dopo anni di vacche magre e di dominio dell’Est, torna a vincere la Germania Ovest, prima dell’URSS di Aleksandr Anpilogov nel 1982 e della Jugoslavia di un altro immenso portiere, Mirko Bašić, e del pivot più dominante del periodo Pavle “Pavo” Jurina (oro facile anche a Los Angeles 1984). Nel 1990 la Svezia ritornò ai fasti degli anni ’50 grazie all’oro vinto nella finale contro l’URSS dalla crazy-band di Bengt Johanssons, mentre buona parte degli atleti sovietici si rifaranno nel 1993 e nel 1997 con due mondiali vinti dalla nuova squadra della Russia. Anche qui i nomi di quella squadra fanno venire la pelle d’oca agli appassionati: su tutti il portiere Andrey Lavrov, vincitore di 3 Olimpiadi (Seoul 1988, Barcellona 1992 con la CSI e Sidney 2000 più il bronzo di Atene 2004 a 42 anni) e Valeri Gopine, giocatore dotato di un’elevazione incredibile. In mezzo alle due vittorie russe, nel 1995 trionfò la Francia del trainer Daniele Costantini, che riuscì a mettere su una squadra, meglio conosciuta come Barjots, di grande personalità e gioco maschio e imprevedibile. I riferimenti di quella squadra che riusciva nelle imprese più incredibili per poi perdere con gli ultimi del ranking mondiale, erano Denis Lathoud, Stephan Stoecklin e il genio Jackson Richardson con i suoi dreadlocks ribelli. Nel 1999, la Svezia di un diligente e mai domo Ola Lindgren si ripeté, seguita dalla Francia nel 2001. Dai mondiali portoghesi del 2003 il vento dell’Est è ritornato prepotentemente sui parquet mondiali con la vittoria di una Croazia piena di talenti purissimi, meravigliosi e irreggimentabili come Ivano Balić, per molti oggi il miglior giocatore al mondo, Mirza Džomba, ala sinistra dal tiro micidiale e Vlado Šola, portiere dai riflessi felini e i capelli stravaganti. La penultima edizione è stata dominata dalla Spagna, altra squadra nuova nel panorama mondiale, che vinse la finale della competizione del 2005 svoltasi in Tunisia, schiacciando 40-34 i campioni in carica croati grazie ad una prova magistrale di Iker Romero. Infine, è storia del 2007 la vittoria tedesca con i vari Glandorf, Henning Fritz e Pascal Hens dominatori della finale contro la Polonia.
Jvan Sica
(per gentile concessione dell’autore, fonte:
Letteratura sportiva)

Reduci dalla solita doppia offerta dell’ennesimo artigiano (dottore, fatturiamo o non fatturiamo?), siamo sempre molto sensibili al discorso IVA. Sul Sole24Ore di oggi si parla di una lettera che l’amministratore delegato di SKY Italia, Tom Mockridge, ha scritto ai parlamentari della terra dei cachi. L’argomento è il solito: l’innalzamento dal 10 al 20% dell’aliquota IVA sugli abbonamenti alle tivù a pagamento, ritenuto ingiusto perché penalizzerebbe le famiglie ed i consumi. Questo almeno secondo il teorema di SKY e dei suoi migliori avvocati, cioé i giornali alla canna del gas che vivono della sua pubblicità: un paio di jeans è consumo superfluo, Fiorentina-Lecce è cultura. E l’Europa, la mitica Europa? In Germania l’imposta sul valore aggiunto, per quanto riguarda le pay-tv, è del 16%, così come nella ‘Spagna che corre’ (definizione di Cannavaro), mentre in Gran Bretagna è al 15. Diversa la politica francese, che in questo settore tiene l’imposta a meno del 5,5%, ma in un sistema che di fatto privilegia qualsiasi consumo con una patina culturale (per dire, l’Iva francese per il cinema è uguale a quella per la pay, contro il nostro 10%). Da non ammiratori di Prodi dobbiamo però dire che questa del ‘regalo di Prodi a Sky’, presa per buona anche da media di centro-sinistra, è una bufala: il 10% di IVA che il governo non Prodi ma Dini impose a Sky non fu un omaggio, ma un aumento dell’aliquota. Che era in origine del 4%, quando azionista di minoranza e reale controllore dell’allora Telepiù era tale Silvio Berlusconi. Come diceva il grande professor Scoglio, fra un pareggio e l’altro: dilettanti allo sbaraglio o professionisti in malafede?
Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it

Nello stesso identico momento nel quale un morbido Beckham lasciava il campo dell’Olimpico, a Bordeaux Yoann Gourcuff segnava un gol meraviglioso: azione personale, dribbling di fino, tiro potente, 3-0 e Girondini ad un punto dal Lione. Certo, i due giocano in ruoli diversi, ma il punto é un altro. Gourcuff, ai tempi dell’esperienza rossonera, non ha mai disputato partite così insipide come quella di David eppure quasi nessuna volta ha preso la sufficienza nelle pagelle e nei commenti degli esperti. Se avesse avuto una prestazione di un così basso livello tecnico e agonistico come l’inglese avrebbe preso 4 e il commento più morbido sarebbe stato “Chi l’ha visto?”. Assente, molle, inutile, non in partita, non all’altezza, scegliete voi le critiche che di solito si riservano a chi non è protetto dalla società. Non è il caso di Beckham. Sia chiaro: a noi David piace come giocatore e come personaggio, così come sua moglie. In pochi hanno costruito nella vita quello che hanno costruito loro (tutti ambiscono ad essere famosi, la piccola differenza con il resto del mondo è che i Beckham ci sono riusciti senza rubare niente a nessuno), ma sulla partita di Roma anche lo Spice Boy sarebbe stato d’accordo con un 4 (nei paesi con giornalisti di personalità addirittura 2, ma non è il caso dell’Italia: non sia mai che la società non ti inviti al workshop). Comunque non si può avere all’improvviso la schiena diritta, non chiediamo miracoli. Molti giornalisti hanno l’età della pensione, non puoi cambiarli, sono dei professionisti solo quando si tratta di fare la cresta sulla note spese, ma perché esaltare un calciatore che neppure vedranno per una banale intervista (non per altro, semplicemente perché non la chiederanno)? Non pensiamo che il Milan abbia chiesto loro di farlo. E allora, cosa sta scattando nelle loro teste? Se Ronaldo avesse fatto fatica a correre, come fa ora nel Corinthians, cosa avremmo sentito, nel caso fosse stato ancora un calciatore del Milan? “Sta lavorando sodo, ovvio che sia ritardo rispetto agli altri”. Ora il brasiliano non é più un calciatore di Serie A per cui i coraggiosi si scatenano. Per tornare a Gourcuff: perché un giovane di evidente talento non é mai stato aiutato dalla stampa, invece uno come Beckham si? David ha giocato in pantofole, morbido come un krapfen alla crema, mai uno scatto, mai un tiro potente, niente rabbia, niente idee, solo passaggi in un raggio di due metri come l’ultimo Albertini. E poi, Flamini sta così male da non poter dare più dell’inglese? Che tipo di messaggio gli si lancia, che é l’ultima ruota del carro? Nessun scandalo che sia stato sacrificato per l’esordio di David? Ragazzi, qui parliamo della stampa che, seppur in piccolissima parte e in bassissime percentuali, influisce sui pareri della gente. Chi ama il calcio si é fatto due risate a leggere oppure solo ad ascoltare i commenti, ma almeno su un fatto possiamo essere d’accordo: i giornali non sono in crisi per via di internet, ma per quello che scrivono e soprattutto che non scrivono.
Dominique Antognoni
dominiqueantognoni@yahoo.it
(in esclusiva per Indiscreto)