Archivio per luglio, 2009

di Alec Cordolcini

1. Nell’estate 2008 Marko Arnautovic era solo un giovane di interessanti prospettive che aveva raccolto collezionato qualche presenza in prima squadra con il Twente, senza però mai riuscire a trovare il gol. Oggi lo troviamo nell’Inter. Il suo ex compagno di squadra Eljero Elia vantava già quattro stagioni in Eredivisie, ma il rendimento modello alti e bassi non lo rendeva proponibile in chiave mercato all’Ajax, figuriamoci all’estero. Oggi è in nazionale, e dopo aver detto di no al Manchester City si è accasato all’Amburgo. Nella città portuale troverà Marcus Berg, scoperto dai più al recente Europeo under-21 ma da anni bomber da oltre 15 gol a stagione. Poi ci sono Daniel Pranjic e Edson Braafheid, neo acquisti del Bayern Monaco. Esempi che testimoniano come anche in tempi di crisi la Eredivisie non abbia perso la propria capacità di coltivare e valorizzare talenti. Questa sera Heerenveen-Roda aprirà la nuova stagione. Il sottobosco di potenziali affari di mercato rimane altrettanto interessante e fertile. Di seguito proponiamo una rapida carrellata.
2. Tra Maradona e Van Gaal, ecco Sergio Romero (classe ’87), miglior portiere del campionato 08/09. Esplosivo tra i pali, rapido nei riflessi a dispetto dell’altezza (1.92), il numero uno argentino è risultato uno degli elementi fondamentali nella vittoria dell’Az mantenendo inviolata la propria porta in ben 22 partite. Oro olimpico a Pechino con l’Argentina (titolare dai quarti di finale al posto dell’infortunato Ustari), stimatissimo dal ct della Selecciòn Maradona, che lo ha fatto esordire dal primo minuto a Glasgow contro la Scozia. Proviene dal vicino Brasile invece Douglas Franco Texeira (88), formatosi nel vivaio del Joinville Esporte Clube ma trasferitosi in Olanda senza aver disputato un solo minuto nella massima divisione brasiliana. Difensore centrale possente, leve lunghe, forte di testa, nello spumeggiante Twente del rinato Steve McClaren Douglas ha puntellato la difesa con precisione e personalità, mostrando una sorprendente capacità di adattamento al calcio europeo. Destinato a seguire la parabola ascendente del connazionale del Chelsea Alex.
3. La deficitaria gestione Van Basten in casa Ajax non ha lasciato solo macerie. Il lancio in prima squadra di Gregory van der Wiel (’89) è tutta farina del sacco dell’ex milanista, che lo ha riconvertito da difensore centrale (ruolo ricoperto nelle giovanili) in terzino destro preferendolo al più quotato (e costoso) Bruno Silva. E’ sbocciato un talento che si ispira a Dani Alves definendosi “difensore di professione, attaccante per attitudine” e che nel giro di pochi mesi è passato dall’esclusione dall’Under-21 in partenza per le Olimpiadi di Pechino alla maglia da titolare della nazionale maggiore durante le qualificazioni per Sudafrica 2010. Veste invece la casacca dei Diavoli Rossi belgi ormai dal 2007 Jan Vertonghen (’87), rude mastino mordicaviglie dai numerosi utilizzi: mediano, difensore centrale oppure esterno sinistro, ovunque lo si metta lui corre e azzanna, non disdegnando qualche puntata a rete per sfogare il proprio sinistro potente. Curiosa la storia legata al suo primo gol da professionista: coppa d’Olanda 05-06, Ajax 2-Cambuur, gli avversari gettano fuori la palla per soccorrere un infortunato, alla ripresa del gioco lui la restituisce con una palombella da oltre 50 metri che si infila nel sette. Ma giura di non averlo fatto apposta.
4. Il portafoglio vuoto aguzza l’ingegno e l’attitudine alla sperimentazione. Così il Feyenoord ha scoperto le geometrie di Leroy Fer (’90), centrocampista multifunzionale piazzato nel cuore della mediana del club di Rotterdam per dettare tempi e ritmi, proprio come fa il padre del giocatore antilliano in ambito musicale con la sua banda di ottoni “Red Hot”. Un metronomo non velocissimo ma dinamico e puntuale negli inserimenti sui calci piazzati. In attesa però di ripetere un altro affare modello Drenthe, il Feyenoord si coccola anche Diego Biseswar (’88) e Georginio Wijnaldum (90), i due scudieri dell’intramontabile Roy Makaay. Il primo è uno spirito anarchico con trascorsi tribolati (la scorsa estate venne cacciato da un provino allo Sheffield United dopo un solo giorno) che svaria sull’out sinistro, dribbla e conclude con destro a giro; il secondo ha trasferito il suo sogno di diventare un acrobata da circo sui campi da gioco. Paragonato al primo Seedorf, Wijnaldum lo ha battuto in precocità, debuttando in Eredivisie all’età di 16 anni e 148 giorni.
5. Nella stagione 1986/87 Erik Willaarts dell’Utrecht si classificò secondo nella classifica marcatori alle spalle di Marco van Basten, all’epoca bomber dell’Ajax. Potrebbe imitarlo a breve il nipote Ricky van Wolfswinkel (’88), ottimo bagaglio tecnico unito a movenze rapide e fiuto del gol da rapace d’area di rigore. Tutte qualità mostrate nel Vitesse in un campionato iniziato da signor nessuno e concluso sotto i riflettori. Adesso dovrà ripetersi proprio nell’Utrecht. In ambito olandese si conosceva già invece il brasiliano Paulo Henrique Carneiro Filho (’89); gol all’esordio nell’Atletico Mineiro (10 giugno 2007, 1-0 al San Paolo), doppietta alla sua “prima” con l’Heerenveen (5-1 al Nac Breda il 15 dicembre dello stesso anno). Aumentato quest’anno il minutaggio, sono cresciuti di conseguenza i gol, e la stagione si è chiusa in doppia cifra. Ambidestro, è agile, tecnico e svaria molto. Una rete da urlo in Coppa d’Olanda al Nec Nijmegen, con palleggio e pallonetto al volo a scavalcare il portiere. Altro pezzo forte del club frisone è Roy Beerens (’87), ala destra veloce e tatticamente ordinata che ha dimostrato come a volte fare un passo indietro possa favorire la propria carriera piuttosto che penalizzarla. Cresciuto nelle giovanili del Psv Eindhoven, nell’estate del 2007 Beerens ha rifiutato il contratto propostogli dal club della Philips preferendo accasarsi in provincia, all’Heerenveen, dove è diventato subito titolare. Stella dell’Under-21, quando gli è stato chiesto quale fosse stato l’avversario più tosto affrontato finora ha risposto senza esitazioni “l’italiano Davide Santon”. Tra piccoli campioni ci si intende subito.
6. Da tempo immemorabile il calcio ungherese non riesce a produrre un top player. Per questo motivo è ancora più forte la pressione su Balasz Dszudszak (’86), esterno mancino scuola Debrecen (tre titoli nazionali in quattro stagioni, delle quali le ultime due da titolare) arrivato nel gennaio 2008 al Psv Eindhoven. Esordio fulminante a suon di reti, poi un rallentamento la stagione, anche perché penalizzato da un modulo troppo rinunciatario. Veste la maglia della nazionale maggiore già da un anno e mezzo. La stoffa c’è tutta, adesso serve personalità e continuità.
7. Per finire un’autentica scommessa. La scorsa estate lo sconosciuto Luuk de Jong (’90) fu il maggior goleador delle squadre olandesi nelle amichevoli precampionato, tanto da guadagnarsi una chance da titolare nel De Graafschap e chiudere il campionato con un bottino, 8 reti, che gli è valso il passaggio al Twente. Quest’anno la situazione si è ripetuta con l’altrettanto sconosciuto Genaro Sneijders (’89), re del gol delle amichevoli estive con 12 centri. Gioca nel Vitesse e può quindi evitare il trappolone del prestito in Eerste Divisie, tomba delle aspirazioni di tanti goleador in erba.
(in esclusiva per Indiscreto)

di Stefano Olivari

Non frequentiamo spogliatoi NBA, quindi non potremmo proporre pezzi del tipo ‘I segreti dei Bobcats’ senza copiare, però al di là di Belinelli ai Raptors stiamo seguendo su vari giornali USA il dibattito su come stia cambiando il rapporto fra campioni e giornalisti. Rimanendo alla NBA, forse non ci sono ancora addetti stampa che dicono ‘Oggi parla Toldo‘ o ‘Manda a Del Piero le domande via mail’ ma di sicuro è in atto un processo di disintermediazione. In italiano significa che gli atleti con una grande immagine hanno iniziato a sfruttare la tecnologia per avere un rapporto diretto con il proprio pubblico, al di là del fatto che quasi sempre al loro posto rispondano giornalisti-schiavi oppure amici accattoni. L’ultima moda è ovviamente Twitter, che solo da pochi paesi (gli Stati Uniti sono ovviamente fra questi) si può aggiornare via sms senza pagare tariffe internazionali: perchè in teoria si potrebbe fare anche da uno spogliatoio italiano, ma chiamando un numero inglese con roaming e tutto quello che ne consegue. Steph Marbury è un patito di Ustream (da noi poco frequentato, è una specie di sintesi fra You Tube ed un sito di video live in streaming), su cui carica anche sue poco interessanti vicende private, Brandon Jennings è stato tradito sul più tradizionale You Tube dall’inevitabile amico rapper che ha postato i suoi ‘veri’ giudizi sul draft, mentre è già storia il twittering in panchina di Charlie Villanueva durante alcune partite dei Bucks della scorsa stagione (con tanto di sfuriata di coach Skiles: adesso il dominicano del Queens è ai Pistons). Tre giocatori che non si negano ai media professionali, ma che come mille altri riservano le presunte ‘cose buone’ ai propri siti o ai channel bulgari del club o dello sponsor. Non è un segreto che nella serie A italiana di calcio molti ‘cronisti da campo’ vadano magari anche al campo (c’è la nota spese da compilare, in fondo) ma che si accontentino della conferenza stampa istituzionale che si può vedere in diretta praticamente ovunque. Il giornalismo è screditato, venendo visto dai più come scrittura su commissione (tale rimarrà, finchè il sistema si reggerà su pubblicità finta ed editoria ‘impura’), quello sportivo ancora di più: siamo d’accordo, vista la pratica. Ma l’informazione data direttamente dagli oggetti delle notizie è spazzatura anche in teoria.

di Luca Ferrato

1. L’Afghanistan batte la Russia per 5 a 4 e si laurea campione del mondo per la prima volta nella storia. Non siamo impazziti a causa del caldo di fine luglio, ma questo è stato il risultato dell’ultima edizione della Homeless World Cup disputata a Melbourne nel dicembre 2008, la Coppa del Mondo dei senzatetto. L’idea venne all’imprenditore sociale Mel Young, che pensò di organizzare un torneo di street soccer su base mondiale riservato a quelle persone che si trovano in difficoltà, a volte senza una casa e un lavoro, essendo per i più disparati motivi incorse in scelte sbagliate che le hanno costrette ad una vita senza fissa dimora.
2. Il primo torneo venne organizzato a Graz in Austria nel 2003, grazie anche a un massiccio aiuto della municipalità cittadina che diede così il via a un evento che nel corso degli anni cambiò la vita a molti partecipanti alla competizione. In quella prima edizione austriaca le nazioni partecipanti furono diciotto e fu subito chiaro agli organizzatori che questa competizione aveva la possibilità di continuare. Da subito si riscontrò una grossa curiosità da parte del pubblico, del tutto imprevista per un torneo pochissimo pubblicizzato. Mel Young e le persone che nel corso degli anni hanno lavorato con con lui, sono riusciti a coinvolgere nella manifestazione anche personaggi del calibro di Eric Cantona, Didier Drogba e Rio Ferdinand, oltre ad agganciare sponsor di importanza mondiale come Vodafone e Nike ed avere il patrocinio dell’Uefa.
3. Si è deciso quindi di organizzare la competizione annualmente alternando ovviamente i vari Paesi ospitanti. Nel 2004 è il turno di Goteborg, mentre nel 2005 è la volta della splendida Edimburgo, dove la Homeless World Cup ha un successo di pubblico incredibile. I britannici ancora una volta si dimostrano molto sensibili alle forme di solidarietà legate al calcio e d’altra parte il giornale di strada “Big Issue” (chi è stato almeno una volta in Gran Bretagna avrà visto i ragazzi che agli angoli delle strade vendono la rivista, strillandone in modo inequivocabile il nome) è uno dei principali sostenitori della manifestazione. Nel 2006 si esce dall’Europa ed è Città del Capo ad ospitare la Coppa. L’anno seguente è il turno di Copenaghen mentre, come già accennato, nello scorso dicembre è stata Melbourne ad ospitare l’evento. In Australia addirittura si sono radunate ben 56 nazioni e si è data vita alla Homeless World Cup più grande di sempre. Per la prima volta è stato anche disputato un torneo femminile.
4. Da un punto di vista prettamente sportivo la squadra italiana si è comportata più che bene nelle precedenti edizioni, vincendo sia in Svezia che in Scozia l’anno seguente. Le partite, giocate fra squadre di tre giocatori di movimento più un portiere, vengono disputate in due tempi di sette minuti ciascuno e risultano belle, veloci, spettacolari e ricche di gol. L’aspetto più importante è ovviamente quello sociale e il grande successo della manifestazione è dato dal fatto che il 93% dei giocatori dopo la manifestazione ha trovato una nuova motivazione per vivere, mentre il 71% di loro ha cambiato significativamente stile di vita. Ben 118 giocatori delle edizioni precedenti hanno dichiarato di aver abbandonato alcol e droga mentre un 38% è riuscito a trovare una situazione abitativa stabile.
5. Quest’anno è il turno di Milano e la Coppa verrà ospitata all’Arena Civica dal 6 a 13 settembre. Saranno ben 48 le nazioni in gara, provenienti da tutte le parti del mondo. La presentazione ufficiale è avvenuta presso il Comune di Milano lunedì scorso, alla presenza del sindaco Moratti e del ministro della Difesa Ignazio La Russa. Per questa edizione tra l’altro la Homeless World Cup è stata dedicata allo scomparso direttore della Gazzetta dello Sport Candido Cannavò. La speranza è quella di vedere lo stesso entusiasmo che si è avuto finora nelle edizioni precedenti, con una grande partecipazione di pubblico e un clima di festa generale simile a quello che si respira durante i Mondiali di calcio o le Olimpiadi. Il tutto per dimostrare che questa città calcisticamente non vive di solo Milan e Inter…C’ è ancora la possibilità di candidarsi come volontari per vari ruoli durante la settimana della Coppa. Chi fosse interessato può fare riferimento a: pietro@milanomyland.it . L’unica certezza è che la vita di qualcuno cambierà in meglio, forse anche quella di qualche spettatore.
(in esclusiva per Indiscreto)

di Stefano Olivari

La formula della serie A di hockey su ghiaccio, il cui campionato inizierà il prossimo 26 settembre, fa ridere o piangere? Le partecipanti saranno nove, con la solita equilibrata distribuzione sul territorio italiano: i campioni del Bolzano, poi Renon, Val Pusteria, Fassa, Asiago, Alleghe, Cortina, Pontebba e la neopromossa Valpellice (unica quindi al di fuori del Triveneto). La cosiddetta stagione regolare prevede cinque gironi: tre per così dire di andata e due per così dire di ritorno, mentre la qualificazione ai playoff sarà difficilissima: ci andranno solo otto squadre su nove. L’anno scorso i club del nostro massimo campionato erano otto, con Milano, Torino e Varese in A2. Come tutti gli sport, anche l’hockey ghiaccio viene gestito in perdita per i soliti motivi: non è colpa di nessuno se a Roma o Bologna non esiste un pazzo che ambisca a vincere lo scudetto di ‘disco su ghiaccio’ (per parlare anni Trenta) o qualche centinaio di appassionati che costringano i negozianti locali ad autotassarsi. Il discorso è sempre il solito: ha un senso, sia economico che etico, questo professionismo da sfigati? Senza offesa per l’hockey, perchè negli sfigati includiamo anche tutte le realtà calcistiche non in grado strutturalmente di autofinanziarsi (quindi dalla B in giù). La vera rivoluzione sarebbe lo sport nella scuola inteso non solo come pratica ma come agonismo, in modo da ancorare ogni comunita locale ad una realtà che non dipenda dai capricci o dai fallimenti del primo farabutto riciclatore che passa. Significherebbe ridimensionarsi in ogni senso, perchè non è che un trentenne canadese verrà mai a frequentare il liceo a Bolzano pagato sottobanco dal preside, e dare una connotazione amatoriale vera all’attività senior. Il professionismo dei ‘grandi’ potrebbe stare in piedi solo con un Club Italia che facesse tornei internazionali, mentre tutto il resto dipenderebbe dalla passione e dal territorio. Non cambierebbe molto a livello di nomi, probabilmente le valli dominerebbero ancora di più, ma come filosofia sportiva sarebbe una svolta vera. Non c’è alcun motivo per guardare la serie A di basket o di hockey quando hai a tua disposizione hai NBA ed NHL, a meno che quelli che vanno in campo non rappresentino qualcosa per te. Onore a Kenny Corupe e a Nicolas Corbeil, ma che senso hanno?

Il Pier Silvio Berlusconi che fa più ridere non è quello che interveniva a Drive In, mettendo fuori combattimento gli spettatori con felpe Best Company: anni Ottanta profondi. Ma purtroppo siamo nel 2009, quindi troviamo irresistibile che ieri il vicepresidente di Mediaset abbia definito ‘una vittoria della concorrenza’ l’assegnazione dei diritti satellitari 2010-2012 del calcio a Sky e di quelli digitali terrestri delle 12 squadre con più tifosi a Mediaset, che quindi di fatto sceglierà le squadre del presunto ‘concorrente’ (Dahlia). Stando al solito dirigente-peone, all’interno della serie A la Juve, paga dell’operazione Beretta (piccolo calibro, praticamente una Derringer), non ha spinto sul tasto dello spacchettamento che avrebbe consentito maggiori introiti, mentre l’Inter è rimasta appiattita sulle posizioni di Galliani (avrà favorito Mediaset o Sky? Mah…) per non dire indifferente: tutto il resto, cioè le squadre con il 25% dei telespettatori, è andato al traino e non si è più parlato di una ripartizione equa degli introiti televisivi (e l’advisor? Avvisa…). Se il numero degli abbonati è infatti paragonabile, ed anzi il pompato digitale terrestre ha maggiori margini di crescita, non si capisce come mai Sky paghi quasi il triplo (580 milioni contro 211, nella prima stagione del contratto) della concorrente che ha sì ‘solo’ 12 squadre, ma tutte quelle per cui la massa si abbona. Anzi si capisce: quella differenza è il prezzo che Sky paga, insieme a vari altri (tipo il finanziamento di film italiani) per essere di fatto il monopolista satellitare, relegando gli altri operatori a numeri da pay-tv di Jessica Rizzo (non sappiamo se esista ancora, però alla presentazione c’eravamo con la labile giustificazione di un articolo di ‘colore’). Comunque quei liceali Best Company sì che erano avversari.

di Stefano Olivari
Al netto delle frodi umane la roulette è il gioco statisticamente più onesto, per questo grandi studiosi hanno tentato di adattare metodi da casinò al mondo molto più complesso delle scommesse sportive. Il più famoso di questi sistemi è il D’Alembert, dal nome del francese che fu tra i più vivaci esponenti dell’Illuminismo. In realtà il matematico si dedicò alle convergenze delle serie numeriche e non a consigli operativi per giocatori d’azzardo, ma il suo nome comunque identifica una martingala usatissima dai nobili russi dell’Ottocento. Il metodo si adatta alle situazioni in cui si vince il doppio della posta: nelle scommesse questo significa puntare su ciò che è quotato a 2,00 o dintorni, non esistendo situazioni ‘perfette’ tipo pari o dispari. In concreto si osservano uno o più risultati quotati alla pari, poi alla prima ‘non uscita’ si gioca la loro uscita. Si punta quindi un’unità, mettiamo 100 euro, sulla vittoria di una squadra quotata a 2,00. Se la squadra vince abbiamo vinto 100 euro: ci ritiriamo ed iniziamo un’altra partita. Se perde aumentiamo di un’unità la giocata, diminuendola di uno ad ogni vincita. Il concetto base è che prima o poi si tornerà in equilibrio, quindi ad una quasi parità fra ‘vittorie’ e non vittorie a 2,00. E che quindi si riesca ad andare in guadagno anche con meno della metà dei colpi vinti. Nel caso di ritorno all’equilibrio, poi, si otterrà una vincita pari a mezza unità per ogni colpo giocato. Invitiamo a simulare con soldi del Monopoli, prima di rovinarsi come hanno fatto milioni di giocatori. A partire da quei nobili russi.
stefano@indiscreto.it
(pubblicato sul Giornale di ieri)

Ne con lui né senza. Silvio Berlusconi non può vivere da proprietario del Milan, perchè pur avendo molti più soldi del Berlusconi straindebitato di venti anni fa (con buona pace degli improvvisati ragionieri da Buffon School) al massimo potrebbe eguagliare se stesso, ma nemmeno da ex proprietario: un eventuale bagno di folla da parte del suo successore, anche di provata fedeltà (Expo-Ligresti o l’improbabile sceicco scemo), gli risulterebbe insopportabile. E così, visto che i giornalisti non sono cambiati di molto, sfrutta l’onda lunga dell’effetto Avvocato: che era un grande esperto di vela, di arte, di finanza internazionale, di motori ed ovviamente di calcio (ma anche di fondi off-shore, come si è visto). Insomma, se chi è informato può tranquillamente dire idiozie figuramoci chi non è informato. La battuta da Transatlantico sul Milan degli Under 23 non è quindi parente di quella di qualche anno fa sui ‘giovani lombardi’ che avrebbero dovuto essere i Pavones rossoneri, ma della semplice ignoranza-sottovalutazione di una situazione che non conosce o che magari Galliani gli ha presentato in modo ambiguo (!). Da anni il Milan sta di fatto smantellando il settore giovanile, ad ogni livello: sia come qualità degli allenatori, spesso grandi ex senza grande preparazione specifica sui ragazzi, che come reclutamento nelle età intermedie, in particolare Giovanissimi-Allievi. Il campione può non uscire anche lavorando bene, quindi che non si siano prodotti altri Maldini non fa testo, ma qualunque operatore di mercato di serie C potrebbe raccontare che i diciannovenni rossoneri delle ultime stagioni non trovano grandi riscontri nel calcio professionistico medio-basso. Coscientemente si è deciso di trascurare un settore, quindi adesso se i giocatori bisogna comprarli tanto vale prenderli ventottenni piuttosto che comportarsi da farm team al Real Madrid o del Chelsea. Però la battuta fa discutere, anche noi boccaloni lo stiamo facendo, per qualche ora l’obbiettivo di far pensare a idiozie è raggiunto.

Crisi economica, fuga degli sponsor, visibilità nulla della serie B? Il Crotone ha trovato la soluzione geniale a questi tre problemi: paga Pantalone. Nell’occasione rappresentato dal Comune. Una soluzione comunque non originale, vista la quantità di Province, Regioni, pecorini, che in tutta Italia cercando il facile consenso della suburra buttano via i soldi dei pochi che non possono o non vogliono evadere. In ogni caso non era ben chiaro che il nome ‘Crotone’ derivasse da Crotone, magari qualche utente del Televideo avrebbe potuto equivocare, ed il sindaco Vallone (il prodiano Peppino, non il compianto comunista Raf eroe della domenica ma nativo di Tropea) ha così pensato di pagare 200mila euro perchè sulle maglie dei rossoblu comparisse l’inequivocabile scritta ‘Città di Crotone’. Al termine di chissà quante riunioni è stato così deciso di rinforzare il brand…Senza contare le cifre (mezzo milione di euro il preventivo ottimistico) per tornelli ed affini, insomma per tutto ciò che serve ad adeguare lo Scida alle norme antiviolenza, che saranno tutte a carico della città e non della società. Dietro a questo tipo di sponsorizzazioni raramente c’è un ragionamento di mercato (il piccolo stadio era semivuoto anche per la partita-promozione) né tantomeno sociale (se no i 200mila sarebbero dovuti andare in campi pubblici): solo rapporti personali, ad andare bene.

di Stefano Olivari

Chi salvò la vita a Giancarlo Antognoni? Diverse persone, fra cui i medici dell’ospedale di Losanna che cinque anni fa lo operarono dopo un collasso cardiaco. Ma ovviamente la memoria di tutti va a quel 22 novembre 1981, quando un’uscita assassina di Silvano Martina (episodio al livello di Schumacher-Battiston, ma senza ovviamente la stessa eco mondiale) mandò quasi all’altro mondo il capitano della Fiorentina. Decisivo fu l’intervento di varie persone, fra cui quello dello storico medico del Genoa Pier Luigi Gatto. Antognoni non ci è venuto in mente per l’ennesimo lisergico editoriale del suo ‘nemico’ Sconcerti (che ai tempi di Cecchi Gori, da direttore generale della Viola gli urlò in faccia un memorabile ”Ma cosa hai fatto tu per la Fiorentina?”, mentre oggi esercita la sua verve comica definendo ‘trionfale’ la gestione finanziaria della Roma), ma per la morte di Gatto avvenuta l’altro giorno (stamattina i funerali) al San Martino di Genova. Onore a Gatto anche se secondo alcuni il primo a soccorrere Antognoni fu il massaggiatore della Fiorentina Ennio ‘Pallino’ Raveggi, notissimo anche agli amanti del ciclismo, che intervenne con la respirazione bocca a bocca subito dopo il fatto. Gatto gli praticò comunque il massaggio cardiaco e fu poi il neurochirurgo Pasquale Mennonna ad operarlo per la frattura alla tempia. Un episodio comunque agghiacciante, che non impedì ad Antognoni di partecipare da protagonista a Spagna 1982, prima che la solita sfiga gli togliesse un gol regolare al Brasile (sarebbe stato quello del 4 a 2 ed avrebbe reso meno storica la parata di Zoff sul colpo di testa di Oscar) e la partecipazione alla finale a causa dell’infortunio contro la Polonia. Va detto che le buone azioni vere sono quelle fatte gratis o in perdita, visto che dopo la partita Gatto si trovò l’auto sfasciata da anonimi tifosi viola. Non solo. Antognoni ci mise un anno per ringraziarlo, senza nemmeno troppo calore: un bigliettino aziendale con scritto ‘Giancarlo Antognoni, p.r.’. E’ il calcio, è la vita.

di Alec Cordolcini

1. Molti ricorderanno, con esaltazione o con stizza, dipende dalle simpatie, il 3-2 all’ultimo respiro con il quale il Milan eliminò l’Ajax nei quarti di finale della Champions League 2002/2003, che poi i rossoneri avrebbero vinto. Fu il danese Tomasson a decidere l’incontro al fotofinish. Era il 23 marzo 2003, e quell’incontro fece registrare anche l’ultima rete in una competizione europea di Jari Litmanen. Almeno fino alla settimana scorsa, quando l’intramontabile 38enne finlandese ha aperto le marcature nel successo del Lahti sugli sloveni del Gorica nel secondo turno preliminare di Europa League. Una marcatura che se da un lato ha permesso a questo giovane club fondato nel 1996 di proseguire nella sua prima avventura europea di sempre dall’altro ha portato il bottino dei gol “europei” di Litmanen a quota 30, permettendogli di affiancare in questa particolare classifica Marco van Basten, Alan Shearer e Dennis Bergkamp. Sgoccioli di carriera di qualità per il miglior giocatore finlandese di tutti i tempi (il suo erede designato al Lahti, Eero Korte, è finora poca cosa), il quale, pur non garantendo una presenza costante nell’undici titolare del Lahti in Veikkausliiga, riesce ancora a far “pesare” il proprio bagaglio di esperienza in ambito internazionale, dove spesso le certezze domestiche evaporano di fronte al primo ostacolo.
2. Ne sanno qualcosa HJK Helsinki e Inter Turku, rispettivamente la Juventus (in quanto squadra più titolata) e…, appunto, l’Inter (in quanto campioni in carica) di Finlandia. I primi sono riusciti a farsi eliminare dai lituani del Vetra perdendo 3-1 allo Stadio Olimpico di Helsinki dopo aver vinto 1-0 in trasferta, lasciando sbigottiti i tifosi locali che già pregustavano un viaggetto a Londra per incontrare il Fulham del vecchio maestro Roy Hodgson. Per salvare il posto coach Muurinen può ora aggrapparsi ad una sola certezza. Il titolo nazionale? No, la grande amicizia che lo lega con il patron dell’HJK Olli-Pekka Lyytikainen. I nerazzurri di Turku hanno invece alzato bandiera bianca contro i moldavi del Sheriff Tiraspol, mostrando tutti i limiti dell’impronta “olandese” donata loro dal tecnico Job Dragtsma. Perché quando gli infortuni colpiscono duro e la condizione fisica di molti elementi non è al meglio, allora la proposta di un calcio tecnico e veloce impostato su possesso palla, passaggi rapidi e sovrapposizioni continue può rivelarsi un boomerang. Soprattutto quando il contesto generale non è di primissimo livello. Così ecco Patrick Bantamoi trasformarsi da miglior portiere della scorsa Veikkausliiga in kamikaze abbatti-avversari, quasi come se colpire palla o gambe in area di rigore non facesse grande differenza; oppure l’ombra del giovane talento Mika Ojala vagare in mezzo al campo alla ricerca del senso della sua partita; o infine l’olandese Guillano Grot, che pur non essendo mai stato un bomber dalle medie implacabili qualche palla in fondo al sacco sapeva anche spingerla.
3. Il peggio di sé però il calcio nordico è riuscito a regalarlo con il Rosenborg, che ha rinnovato la tradizione delle figuracce europee made in Tippeliga (si ricordano il Lillestrøm eliminato dai lussemburghesi del Käerjeng o il Brann mandato a casa dagli svedesi, di serie B, dell’Ådvidabergs) regalando un momento di gloria agli azeri dell’Fc Qarabagh, la cui porta è rimasta imbattuta per ben 180 minuti. 0-0 a Trondheim, 1-0 in Azerbaigian; un’autentica impresa al contrario, soprattutto se si considera che il Rosenborg sembra essere ritornato quella corazzata capace di vincere titoli consecutivi a iosa, non avendo ancora perso nessuna delle prime 18 partite di Tippeliga. Torneo quest’ultimo tutt’altro che scadente; il Molde regala gol e spettacolo, i campioni dello Stabæk si stanno riprendendo bene dalla partenza di due terzi dell’attacco titolare la passata stagione (e in Champions se la vedranno con la corazzata nordica dell’Fc Copenaghen), il Tromsø ha recentemente distrutto la Dinamo Minsk in Europa League. Nessuna però riesce a mantenere il ritmo del Rosenborg dei vari Tettey, Annan, Sapara, Skjelbred, Prica, Ya Konan, Lustig, Demidov. Tutta gente che ha mercato all’estero. E che da oggi gode della massima simpatia in Azerbaigian.
4. Svezia infine, dove i campioni in carica del Kalmar non hanno voluto essere da meno dei vicini nordici uscendo anticipatamente dai preliminari di Champions League dopo aver dominato gli ungheresi del Debrecen. Spettacolo a domicilio, con un 3-1 (inclusa una traversa e un clamoroso rigore negato) che ha visto sugli scudi Rasmus Elm (strepitoso nel movimento tra le linee che lascia gli avversari senza punti di riferimento), il fratello David e gli esterni Sobralense e Mendez, bravi nell’aggredire gli spazi e nelle combinazioni; peccato che il tutto sia stato vanificato da un reparto arretrato che non sembrava conoscere nemmeno l’abc della fase difensiva, concedendo ad un Debrecen ordinato, scolastico e tignoso, ma nulla di più, ben due reti in Ungheria (un gioiellino quella del raddoppio firmata dall’idolo locale Zoltan Kiss) e una, in contropiede sullo 0-0 dopo pochi minuti, al Fredirksskans. Ma il masochismo, specialmente nel calcio, può davvero essere senza confini.
(in esclusiva per Indiscreto)