Archivio per luglio 17th, 2009

di Stefano Olivari

1. Come tutte le estati noi di estrazione socio-culturale medio-alta stiamo rivedendo la serie di Rocky, quest’anno su Sky. Impossibile dire qualcosa di originale su una maschera che ha rappresentato alla perfezione l’America nei Settanta e negli Ottanta, trascinandosi poi con poche idee negli ultimi due episodi. E’ invece possibile ricordare l’ispirazione sportiva di Stallone, sceneggiatore fin dal primo episodio: Chuck Wepner, l’ex marine newyorkese che nel 1975 fu coinvolto da Don King in una sfida a Muhammad Ali che ebbe molto in comune con quella successiva e cinematografica fra Rocky Balboa ed Apollo Creed.
2. Wepner aveva diverse caratteristiche interessanti agli occhi del geniale organizzatore: a) era (è) bianco, cosa che in un’era dominata da pesi massimi neri aveva grande valore di marketing (mai come quello raggiunto qualche anno dopo da Gerry Cooney); b) aveva un record pessimo ma pieno di match, sia pure tutti persi, di grande valore: fra gli altri con Sonny Liston, George Foreman (messo al tappeto al secondo round, prima di essere fermato per ferita), Joe Bugner; c) aveva servito la patria nei Marines, non in prima linea in Vietnam ma comunque nei Marines, e pompare una rivalità con il renitente alla leva (ma pagandone in prima persona le conseguenze, al contrario di altri imboscati) Ali non sembrò vero all’ex recuperatore di crediti (punto in comune fra King ed il Balboa del primo episodio); d) aveva coraggio, ma tecnicamente non valeva la metà del campione e aveva la sconfitta scritta in faccia; e) dopo l’enorme dispendio fisico e nervoso della Rumble in the Jungle con Foreman, Ali aveva bisogno di una passeggiata per la sua difesa del doppio titolo WBC-WBA (all’epoca c’erano ‘solo’ due sigle).
3. Centomila dollari a Wepner e quasi due milioni al Mito: con queste premesse il 24 marzo 1975 al Richfield Coliseum di…Richfield, per l’appunto (paesino dell’Ohio a metà strada fra Cleveland e Akron, i fan di LeBron James avranno un’idea della geografia), andò in scena questa sfida all’apparenza impari. Alla quale Wepner si era preparato per la prima volta da professionista vero, rinunciando ai lavori part time da guardia giurata e da buttafuori. La maggior parte dei bookmaker non lo vedeva in piedi oltre la terza ripresa, ma in più di un’intervista lui disse che ‘Chi è sopravvissuto ai Marines può sopravvivere anche ad Ali’.
4. Era vero, anche se l’inizio fu terrificante. Wepner riuscì a mettere a segno pochissimi colpi fino alla nona ripresa, quando un diretto alla bocca dello stomaco mandò il campione al tappeto. Da lì al quindicesimo round si vide (noi l’abbiamo fatto grazie alla Grande Boxe, memorabile trasmissione del Rino Tommasi Fininvest) uno dei migliori Clay-Alì di sempre, che ridusse Wepner ad una maschera di sangue. Una maschera che tenne duro eroicamente, nonostante dal suo angolo gli gridassero di arrendersi, fino a quando l’arbitro decretò il ko tecnico. Sconfitto ma vincitore morale per lo spettatore medio, Wepner investì i centomila dollari alla Balboa e qualche anno dopo fu arrestato per avere venduto migliaia di autografi falsi di grandi campioni dello sport: molti di questi erano di Ali.
5. Quanto all’ispirazione data al telespettatore Stallone, non è mai stata certificata dall’interessato: anche per una questione, banalmente, di diritti. E’ invece vero che l’idea diede la svolta alla carriera di Stallone e che nel corso degli anni lui e Wepner si siano incontrati diverse volte (sul suo sito c’è anche una foto che li ritrae sul set del film Copland). Oggi l’ex marine vive di discorsi motivazionali, di comparsate ad eventi vari e di racconti riguardanti il passato: fisicamente sta meglio dell’Ali attuale, nonostante abbia preso il decuplo delle botte (fra le altre anche quelle di Joe Frazier, di cui era lo sparring partner prediletto). Rocky se l’è cavata.

A RaiSport lavora una quantità imbarazzante di gente scarsa e iper-sindacalizzata, logico frutto di varie tornate di raccomandazioni, ma si cacciano le poche persone capaci e senza paracadute. Al direttore Massimo De Luca non verrà rinnovato il contratto triennale, senza un vero perché (ascolti, scelte editoriali, cose del genere), così come non c’era un vero (nel senso di raccontabile pubblicamente) perchè nell’avvicendarsi dei telecronisti della Nazionale nel dopo-Pizzul. Sarà sostituito da Eugenio De Paoli, che ha il pregio di venire dallo sport, ma negli ultimi giorni si erano sentite candidature ed autocandidature agghiaccianti: un festival di sconosciuti che nemmeno a Castrocaro, spesso senza esperienze televisive. Gente che verrà riciclata altrove a fare danni, magari confondendo digitale terrestre con satellite (è successo nel recente Europeo femminile di basket…), solo perchè ha la tessera di un partito o di una delle settecento associazioni politiche e religiose a cui ci si iscrive con lo spirito del circolo del golf (”Bisogna conoscere gente, che poi ti può essere utile”, l’insegnamento della brava mamma italiana). Si ha la sensazione che nel giornalismo, così come nello spettacolo e in altri campi dove la bravura non è misurabile, conti non il valore delle persone ma solo chi le sceglie. Se l’ultima amante dell’ultimo portavoce conduce più programmi di Lorella Cuccarini una ragione c’è.

di Libeccio
Ci sono giornalisti economici che erano a libro paga di Raul Gardini (vil razza padana). Il principale di questi scrive ancora su un grande giornale nazionale, pontificando urbi et orbi. Soprattutto senza prenderci mai intermini di previsioni. Altri giornalisti sportivi, che prima di scrivere un pezzo chiamavano Lucianone e chiedevano la linea. Dettata. La stampa romana è sostanzialmente disattenta o perlomeno appennicata con chi specula sul titolo Roma nell’ambito della tragicomica vicenda Fioranelli? Nulla di strano visto che è successa la stessa cosa con Chinaglia e i bulgari per la Lazio, poi Soros e Tacopina, gli emiri arabi, i russi petrolieri, De Bustis e D’Alema. Forse ne dimentico qualcuno. Berlusconi ha creato un sistema di illegalità diffusa nella società, nella politica e nel calcio. Leggo sull’Espresso in edicola che un tipo poi fatto onorevole (tale Del Bue) ha portato dagli uffici Mediaset a quelli di una banca familiare (della famiglia Berlusconi), 78 miliardi di lire in contanti in tre mesi. Con le valigie? In scatole di cartone? Sottoforma di buste della spesa? Pare si trattasse della più importante operazione diriciclaggio di denaro sporco fatta in Italia in così poco tempo. E’ tutto negli atti della sentenza Mills. Trascuro di riferire il nome del Responsabile della Cultura del Casino delle libertà: mi pare si chiami Dell’Utri e sia stato condannato a 9 anni per associazione mafiosa. Ma veniamo alla quotazione Saras. Ineccepibile caro Stefano Olivari: parli della forbice tra valore reale e valore nominale al momento della quotazione. E’ prassi caro Stefano, normalissima prassi. Anzi i Moratti, da gran signori quali sono, si son tenuti bassi. Così come è prassi esaltare gli asset positivi e mitigare le poste negative. Vatti a studiare le quotazioni delle nuove società negli ultimi 5 anni della borsa di Milano perchè faresti delle scoperte fantastiche. Per non parlare di quelle degli ultimi dieci anni. Ti faccio un solo nome: Tiscali, oppure Banca Italease se vuoi. Studiale bene e poi fammi sapere. Aggiungo, caro Stefano, che molto ha fatto l’andamento del petrolio nel caso della Saras. Dal momento della quotazione è clamorosamente sceso trascinando al ribasso tutti i titoli del comparto. Studiare per credere. Potrei aggiungere decine e decine di vicende di inaudita gravità chemeriterebbero riflettori costanti e soprattutto sentenze (vicenda equity swap ed Exor-Fiat). Invece dell’oblio che la stampa nazionale riserva loro. Al confronto, la quotazione Saras è un nonnulla. Una domanda, Stefano: ma esiste ancora una stampa in Italia? La domanda è retorica…Poi se il top management Saras ha commesso abusi o agito illegalmente va perseguito in termini giudiziari e punito in modo esemplare, ma almeno dal punto di vista mediatico si dovrebbero rispettare le proporzioni.

di Alec Cordolcini

Milan. Per chiunque non rappresenti la voce del padrone è lampante che il passaggio di Ronaldo al Milan rappresenti più un colpo di teatro che una necessità tecnico-tattica. Colui che era stato definito “il campione prototipo del calcio del Duemila” per via dello straordinario mix tra fisico e tecnica, ad altissimi livelli, impreziosito da un scatto da fermo mortifero e da quel doppio passo che non lasciava scampo anche ai marcatori più esperti, non avrebbe più potuto tornare. Gli infortuni e uno stile di vita non propriamente da atleta bussavano inesorabilmente alla porta della sua carriera, comunque fulgida, informandolo che era giunta l’ora di pagare il conto. Dopo Vieri e Rivaldo, prima dello Shevchenko-bis, di Ronaldinho e di Beckham; la scelta di Ronaldo appare dettata più da logiche di marketing e di immagine piuttosto che da un preciso progetto calcistico. Quello che, tanto per intenderci, non ha avuto nemmeno il Brasile di Parreira partito con i favori del pronostico per la vittoria al Mondiale tedesco del 2006 e sgonfiatosi come una bolla di sapone una volta che il gioco ha cominciato a farsi duro (leggi i quarti di finale contro la Francia). Seleçao anarchica, ognuno giocava per sé. Ronaldo lo faceva per diventare il massimo goleador di sempre nella storia della Coppa del mondo; missione compiuta agli ottavi di finale, quando contro il Ghana infila la sua rete numero 15 (in 19 partite) in una fase finale di un Mondiale, prevalendo su Gerd Müller (14) e Just Fontaine (13). Sono invece 9 i gol del brasiliano nei suoi diciotto mesi al Milan, per un’esperienza agrodolce dove ad un buon finale del campionato 2006/2007 (con tanto di classico gol dell’ex all’Inter in un derby comunque vinto dai nerazzurri 2-1) si accompagna l’ennesimo grave infortunio, la rottura del tendine rotuleo del ginocchio sinistro. Il 30 giugno 2008 scade il suo contratto con il Milan. Ronaldo torna in Brasile, si allena con il Flamengo aspettando l’offerta giusta. Che arriva dal Corinthians. Il 4 marzo c’è l’esordio in Copa do Brasil contro l’Itumbiara, quattro giorni dopo ecco la prima nel Paulista, che il nostro contribuirà a far vincere al Corinthians con 10 reti in 14 gare. Poi la solita vita e una netta presa di posizione contro i ritiri: “inutili, nel calcio di oggi”. Sempre fedele a nessuno, se non a sé stesso. (6-fine)wovenhand@libero.it
(in esclusiva per Indiscreto)