Archivio per giugno 12th, 2009

Il fatto di essere diventati mediaticamente la serie B della Liga spagnola ha prodotto effetti devastanti sulla memoria dei dirigenti del calcio italiano, che fra i mille argomenti utilizzabili per spiegare questa situazione hanno scelto proprio l’unico che dovrebbero far cadere sotto silenzio. Cioé la differente aliquota fiscale fra Spagna e Italia per quanto riguarda determinate categorie di lavoratori provenienti dall’estero. Situazione spiegata da chi, dal grande club alla serie C-Lega Pro del macalliano budget-tipo (uno scherzo, a detta di chiunque lavori nelle serie minori), ha costruito le proprie fortune e sfortune sui pagamenti in nero…Forse Adriano Galliani è solo un omonimo di quell’Adriano Galliani dirigente del Milan negli anni Ottanta e Novanta, che visse da spettatore i tre mesi con la condizionale (trasformati in multa risibile, secondo gli schemi del patteggiamento all’italiana) inflitti nel luglio 2002 a Van Basten, Gullit e Rijkaard, per incassi in nero negli anni d’oro: 42 miliardi di lire il cigno di Utrecht, 18 per il fan di Mandela, 8 miliardi e 300 milioni il designer di mutande. Colpa dei tre calciatori, ovviamente, perchè la legge sul falso in bilancio avrebbe poi fatto dichiarare prescritto l’eventuale reato societario di Galliani e di altri ‘magnager’. Così facevano e fanno molti dirigenti non solo italiani, senza però improvvisarsi tributaristi da Scuola Radio Elettra né maestri di etica: il pizzaiolo non ci dà lo scontrino nemmeno dietro minacce, ma almeno non si giustica spiegando che a Madrid la margherita subisce un prelievo di solo il 25%.

Amici quotidiani

di Nando Sanvito

Quanto pesa la comunicazione mediatica sul calciomercato? Molto e lo sanno bene gli addetti ai lavori. La prima pagina del giornale catalano El Mundo Deportivo di mercoledì è, al proposito, emblematica. Vi si annuncia l’accordo Barça-Inter su Ibrahimovic a condizioni a dir poco inverosimili (Eto’o e 10 milioni) se pensiamo che solo 5 giorni prima il presidente blaugrana Laporta se n’era sentiti chiedere 50 più il camerunense. La secca smentita nerazzurra ha poi fatto giustizia di quella notizia, ma è interessante analizzarne la genesi. La serietà professionale dei colleghi spagnoli che firmano quell’articolo fa ritenere che l’informazione sia arrivata loro da dirigenti del club catalano, guarda caso il giorno dopo che gli odiati rivali del Real Madrid annunciano l’acquisto di Kakà. Ma c’è dell’altro oltre al comprensibile desiderio di forzare una risposta immediata agli squilli di tromba dei rivali castigliani. Nelle casse dei catalani i soldi per prendere Ibra non ci sono, potrebbero arrivare dalla cessione di Eto’o (possibilmente entro giugno per salvare il bilancio) e bisogna mettergli pressione perché accetti (si libera nel 2010) di essere venduto. Se ai tifosi, freddini su un oneroso investimento per Ibra a scapito di Eto’o, fai credere che lo scambio è quasi alla pari, Eto’o assume ai loro occhi la parte di quello che vuole danneggiare il Barça coi suoi capricci e la pressione della piazza diventa incompatibile con la sua eventuale volontà di restare fino a scadenza di contratto e con la sua politica di esagerare le richieste per vanificare ogni trattativa di cessione. In fondo è quello che fecero l’anno scorso, quando per convincere i tifosi della convenienza di cedere Ronaldinho cominciarono a far filtrare notizie più o meno fantasiose sul suo conto («s’è inventato un infortunio per non giocare», «è in una clinica a disintossicarsi», eccetera) che puntualmente trovavano eco non su El Mundo Deportivo (schierato allora con Ronaldinho) ma sull’altro giornale catalano Sport, in questi giorni invece tagliato fuori dalle soffiate del club perché da sempre dalla parte di Eto’o. Un po’ come è successo a Madrid tra Marca e As. Quest’ultimo era il confidente dell’ex presidente Ramon Calderon, a cui aveva tirato la volata, l’altro – da sempre vicino a Florentino Peréz – si era poi vendicato dei tanti buchi presi confezionando lo scoop dell’inchiesta sulla frode assembleare che portò alle dimissioni Calderón. Non a caso la scorsa settimana Peréz ha concesso a Marca la prima intervista da presidente ma poi per tenersi buoni i rapporti con l’altra sponda nella notte fece visita alla radio Cadena Ser, appartenente allo stesso potente gruppo editoriale di As. Lo stesso Peréz nell’era galactica quando doveva prendere qualche decisione era uso sondare gli umori della piazza facendo filtrare notizie alla stampa amica. In questi mesi ha ripreso a farlo e l’esca gettata sul nome di Ancelotti gli tornò indietro vuota, la piazza era fredda sulla candidatura dell’italiano alla panchina del Bernabeu e cambiò cavallo salvo poi pentirsi ed essere costretto ad accettare l’unico candidato rimasto e suggeritogli da Valdano, cioè Pellegrini. Si potrà obbiettare che certe dinamiche appena descritte nei rapporti media-club sono riscontrabili anche in Italia. Sì, con una differenza non da poco, e cioè che da noi i presidenti non vengono eletti e non devono curarsi della base elettorale. Non si dice poi che l’erba del vicino è sempre più verde? Appunto…
(per gentile concessione dell’autore, fonte: Il Giornale)

Jimmy Greaves è stato uno dei più grandi attaccanti della storia inglese, terzo marcatore di sempre in nazionale dietro a Bobby Charlton e Gary Lineker, ma soprattutto avrebbe dovuto essere il protagonista del Mondiale 1966. Qualche mese prima del grande evento l’allora ventiseienne del Tottenham aveva avuto un’epatite, ma guarì in tempo per essere a disposizione di Ramsey. Fece un’ottima preparazione e fu lui il titolare nell’esordio a Wembley contro l’Uruguay: uno zero a zero che rappresentò bene quanto visto in campo. Con il Messico altra musica: tante occasioni, con un bellissimo gol di Charlton ed il raddoppio merito proprio di Greaves. Niente gloria nel tabellino, ma suo il tiro che Calderon respinse corto in bocca ad Hunt. Greaves sempre bene nella vittoria con la Francia, più uomo assist che goleador, ma con una gamba squarciata da un tackle avversario. Niente di drammatico, solo un profondo taglio, ma Ramsey usò l’infortunio per far ‘riposare’ Greaves, buttare nella mischia Geoff Hurst e recuperare la sua arma tattica (la genialata, vista a posteriori, fu rinunciare alle ali pure) Alan Ball. La vita è crudele: Hurst segnò il gol vittoria nel quarto con l’Argentina e non uscì più. In campo nella semifinale con il Portogallo ed anche nella finale, a dispetto della stampa che premeva per il ritorno del più talentuoso Jimmy. Niente da fare: Hurst entrò nella leggenda, Greaves guardò i compagni ritirare le medaglie. Già, perchè al tempo le medaglie venivano date solo agli undici in campo. Due giorni fa parziale giustizia è stata fatta con la consegna dei pezzi dorati agli undici esclusi del 1966. Un’iniziativa della Fifa, per indennizzare i giocatori non scesi in campo delle squadre vincitrici, messa in pratica a Downing Street dal declinante Gordon Brown. Di classe il commento di Greaves, che ha sempre ricordato con dolore quel Mondiale vissuto da comprimario (mentre nel 1962 con Winterbottom fu protagonista fino alla fine, cioé fino al quarto perso con il Brasile): ”Adesso tutta la squadra ha la medaglia. È molto bello, ma se Sir Alf fosse ancora qui, probabilmente l’avremmo avuta prima”.