Oltre la Roubaix

di Simone Basso
In memoria di Franco Ballerini, campione da due stagioni e fuoriclasse sempre, che fra qualche anno sarà ricordato come il più grande commissario tecnico della storia…
  
“E’ venuto il parroco, preoccupato, voleva fare il funerale in piazza, all’aperto, gli ho detto che è meglio che Franco stia in casa, in chiesa, al chiuso. E’ venuto il medico, due volte, preoccupato per la mia anemia. Sono io a dire loro di non preoccuparsi: tiro fuori tutto. Le donne sono forti e io sono una donna forte. Ma non è giusto che, visto che sono forte, debbano capitare tutte a me”.
(Sabrina Ballerini)

In un giorno troppo invernale per essere finto, Natale a Febbraio, omaggio obbligatorio a Franco Ballerini.  Un anticoccodrillo dovuto, leggendo l’insipienza e la fretta di quotidiani ormai sempre più carta straccia o tovaglie da bar. Pare l’altroieri, ma il nostro (reduce da un bel tirocinio nei puri) esordì in una squadra di pupi nel 1986: voluta da Franco Magni per accompagnare il battesimo nei pro di un gruppo di sbarbati. Così, ad affiancare il futuro ballerino delle pietre, Cenghialta, Giannelli, ritrovammo anche il Cipollini sbagliato (Cesare, più forte di Mario ma sprovvisto di cabeza..); un combo divertito e divertente, toscano come Bianciardi al terzo bicchiere di Chianti.
Il Franco emerse piano piano, prima perla alla Tre Valli 1987, e divenne se stesso progressivamente; figlio di un vivaio e di un sistema oggi riprodotto quasi solamente nelle esagerazioni e nelle forzature.
Costretto da un’allergia al polline a essere uomo di due stagioni, primavera ed autunno, fu califfo a dispetto di una concorrenza nutrita: sbocciò, per ironia della sorte, dopo la velenosissima trasferta iridata in Giappone (1990). A Utsunomiya, in azzurro, ebbe la fortuna di ritrovarsi in una fuga quasi terminale per l’esito di quel mondiale; ma, sette minuti dietro, BiciItalia si mise ad inseguirlo.
Il risultato fu la beffa del Baracchi belga Dhaenens-De Wolf, che precedette lo sprint scontato dei Grandi, scornatissimi, Bugno, Lemond e Kelly. Come per reazione a quell’atto di sfiducia, in un mese realizzò un tris tuonante: Parigi-Bruxelles, Montreal e Giro del Piemonte.

Da quel momento il Ballero recitò benissimo due parti: il predatore di classiche e il luogotenente dei capitani più esigenti. Il Fiandre, da flahute autentico, rimarrà sempre un cruccio; più che la terza piazza del 1996, ricordiamo con rimpianto la corsa di cinque anni prima.  Mostrò con generosità eccessiva di averne più di tutti e spese troppa benza inutilmente: sul Bosberg l’inevitabile Van Hooydonck piazzò lo scatto decisivo. E proprio quella settimana Franco comprese le meccaniche divine dei predoni del Nord: alla Roubaix, strapotente, non marcò stretto l’enfant du pays Marc Madiot, che fuggì via in un settore di acciottolato dietro…derny. Ah, l’inferno! Delizia e tormento di questo fiammingo nato per sbaglio nel Granducato di Toscana; il ’93 fu atroce e poetico, nelle vesti scomode di Garrone della pedivella. Fece la badante dell’antico Duclos-Lassalle, senza comprendere che la mancanza di pietà è il latte più di quel mattatoio che termina nel Velodromo.
Ma la lezione, dopo un fiume di lacrime, servì: ne vinse due dominandole come un Moser moderno, con quello stile meraviglioso, agile e potente allo stesso tempo. La Prima Sinfonia, 1995, a dispetto di una spalla incrinata dopo una caduta alla Gand-Wevelgem; la Seconda (1998) massacrando la concorrenza, il dì che ad Arenberg Museeuw rischiò l’amputazione della gamba. Rubè bastarda, brutta, sporca e cattiva: quasi come quella del 1994, l’anno del capolavoro sfiorato. Fu immenso, ma cinque forature e tre cadute lo tolsero dalla contesa nel momento decisivo: Tchmil fu comunque strepitoso, in una cloaca di pavè e fango mai vista. Il Ballero, di rabbia pura, risalì la corsa come un cacciatorpediniere e concluse con un terzo posto roboante.
La classe del soggetto pedalante, notevole, fu la stessa del Ballerini uomo: l’approdo in nazionale, al termine della carriera agonistica, fu quasi scontato, considerando la competenza e la signorilità sempre esibite. Una volta tanto, tra un Riccò e l’altro, un bell’esempio di quanto siano ricchi di umanità i ciclisti; un gentiluomo che si è sempre adoperato nel sociale, privo dell’accompagnamento cafone della telecamera. Lodatissimo da tutti oggi, soprattutto dagli stessi federali che tentarono di silurarlo quasi subito: per ragioni elettorali e lobbistiche, naturalmente. Imparò dalla lezione amara di Lisbona 2001 e non sbagliò più: anche in condizioni di manifesta inferiorità, come a Mendrisio l’anno scorso, impostò sempre la tattica migliore. L’idea è che, tra qualche anno, lo considereremo come il più grande cittì della storia. Domenica, leggendo la notizia sbigottiti, abbiamo pensato tristissimi ad una frase di un cantautore toscano, anarcoide e sregolato, grande amico degli sfregaselle dell’epoca che fu.
“…La vita è una cosa
che prende, porta e spedisce.” (Piero Ciampi)
Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)