Destinazione Palalido

di Stefano Olivari
Quando manca la materia prima per un articolo, sulle pagine locali dei quotidiani si ricicla la storia della mancanza di impianti. Che è un problema serio, ma comunque meno importante della richiesta di pallacanestro ‘dal basso’.

Forse non tutti sanno che il PalaFiera di piazza 6 febbraio, distrutto senza un vero perché, poteva contenere fino a 18mila spettatori e che per il basket ha avuto affluenze da oltre 10mila. Il Palalido, adesso ma anche in prospettiva casa dell’Armani e del basket milanese, ha quasi mezzo secolo: lì si gioca a basket dall’8 dicembre 1960 (All’Onestà-Sant’Albino Monza) e per fortuna non si è più smesso. A gennaio dovrebbero partire lavori di ristrutturazione con scadenza settembre e l’obbiettivo di cinquemila posti veri. Del Palazzo dello Sport di San Siro, raso al suolo dopo il crollo del tetto per neve poco dopo l’ingaggio di Joe Barry Carroll, non rimane nemmeno un mattone: adesso il suo spazio è stato adibito a parcheggio dei pullmann per le tifoserie calcistiche in trasferta. E negli altri giorni è uno spazio utile per le prime manovre da scuola guida. Il PalaSharp, nato come PalaTrussardi nel 1986 e teatro di tante imprese (la rimonta con l’Aris Salonicco, per dirne una), viene utilizzato per tutto tranne che per lo sport ed in ogni caso è di privati (la famiglia Togni, proprio quella del famoso circo), mentre l’attiguo PalaTenda fortemente voluto da Gabetti per i playoff 1985 ha ballato per una sola primavera per poi rimanere un ricordo. Il Mediolanum Forum è un ottimo impianto, ma in ottica milanese ha un piccolo difetto: non è a Milano. Pur con tutti i bus navetta di questo mondo, per un adolescente andare ad Assago di sera non è semplice. Anche se i mezzi pubblici sono spesso una scusa per giustificare la pigrizia, per non parlare del fatto che 11.200 spettatori si possono vedere solo ad una finale scudetto: contro Panathinaikos e Khimki i teli neri a coprire pietosamente il secondo anello facevano male al cuore.
E pensare che negli anni Sessanta Milano era la capitale anche organizzativa del basket italiano, al di là dei meriti del grande Simmenthal di Bogoncelli e Rubini. Per fare un esempio, nella stagione 1959-60, c’era una squadra in Prima Serie (il Simmenthal, ovviamente), una in serie A (la Pirelli) e quattro in serie B (All’Onestà, Banco Ambrosiano, Fiera e Canottieri). La Pirelli aveva il campo in viale Sarca. L’emergente All’Onestà dei Milanaccio giocava due ore prima del Simmenthal al Palasport della Fiera oppure alla palestra Fenaroli di viale Fulvio Testi. Quando non giocava in abbinata il teatro della sua scalata verso il massimo campionato era la bomboniera della Forza e Coraggio di via Gallura: un migliaio di posti, non esattamente a sedere, tutti esauriti. Il Banco Ambrosiano giocava in via Ovada (all’aperto), la Fiera in un padiglione della…Fiera Campionaria, la Canottieri all’Alzaia del Naviglio Grande. Del 1962 è la nascita del Trofeo Lombardia, fortemente voluta da Emilio Tricerri, che metteva di fronte le migliori squadre lombarde: le prime tre edizioni si disputarono alla Forza e Coraggio. Il 12 novembre 1964 il primo derby vero fra il Simmenthal e All’Onestà: dalla palestrina di via Gallura rimasero fuori migliaia di aspiranti spettatori e dal 1965 la tappa milanese del Lombardia diventò il Palalido. Si giocava quasi tutto l’anno, in ogni zona della città, con uno spirito di iniziativa oggi inimmaginabile. Citazioni d’obbligo anche per la palestra del Pavoniano di via Giusti, dove allenava Arnaldo Taurisano, e per la Social Osa (Osa non era lo sponsor, ma sta per Oratorio Sant’Agostino) di via Copernico: lì il guru era Giuliano Bandini, coadiuvato da Paolo Casalini (fratello di Franco). Mito di tutti i giovani allenatori di quella generazione era l’impiegato di banca Mario Borella, scopritore di talenti cortile per cortile: Fiorenzo Galletti all’oratorio San Michele del Carso, Sandro Gamba strappandolo alla passione per il ciclismo. Borella era un maniaco dei fondamentali ad un punto di riferimento per i tecnici, al punto che quasi tutti i meno giovani (diciamo chi adesso ha dai trentacinque anni in su) ex giocatorini milanesi hanno sentito almeno una volta nella vita dal proprio coach la frase ‘Per te ci vorrebbe il Borella’.
La città era piena di possibilità di giocare a basket, a partire dai fin troppo mitizzati playground. Il più famoso è tuttora quello del Parco Sempione (di fianco al Castello Sforzesco, per dare un’idea), ma chi emerge lì è quasi sempre perché è bravo anche in un contesto di basket organizzato. E il basket organizzato si gioca nelle palestre. Non è un caso che a Milano sia di fatto nato il minibasket italiano, da un’intuizione del già citato Tricerri, con la Forza e Coraggio che è stata la sua culla. La pallacanestro per bambini era stata inventata negli Usa da Jay Archer ed il primo paese europeo a lanciarla era stato la Spagna, ma fu proprio Tricerri (all’epoca presidente del Comitato Regionale Lombardo) che dopo aver visto un documentario sul minibasket in Spagna decise di importare l’idea. La Forza e Coraggio divenne così la prima palestra italiana con quei canestri bassi (2 metri e 60 centimetri): era il 1964, di lì a poco la febbre sarebbe dilagata in tutto il paese. Ma la Milano del basket continuava a produrre idee, come la ‘Scuola per pivots’ (chiamata proprio così dal Comitato Regionale) per ragazzi di alta statura ed una promozione capillare. (2-continua)
Stefano Olivari
(pubblicato su Superbasket)
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