Archivio per dicembre 1st, 2009

di Alec Cordolcini
Speciale Svizzera: le riforme di Cavasin, il salto di Russotto, l’esperienza di Frei, la legge di Petkovic, la colonia ivoriana e il giapponese Traorè.

1. Buona la prima per il nuovo Bellinzona di Alberto Cavasin. Battere il Sion formato trasferta di quest’anno non è certo impresa titanica, ma per un club come quello granata reduce da tre disfatte consecutive (1-7 e 0-5 casalingo rispettivamente contro Young Boys e San Gallo, 0-7 a Zurigo in casa Grasshopper) l’importante era rimettere assieme i cocci e ripartire. Missione compiuta grazie ad un brillante 3-1, che regala morale ma deve alimentare facili illusioni. Perché l’ottavo posto (ovvero salvezza diretta senza passare dal barrage contro la seconda di Challenge League) è comunque distante 8 punti.
2. E’ ancora presto per giudicare le novità introdotte da Cavasin, che ha immediatamente giubilato il 4-2-3-1 del suo predecessore Schallibaum a favore di un 4-4-1-1 in cui il miglior giocatore del Bellinzona, Gurkan Sermeter, è stato traslocato dalla fascia destra sulla trequarti centrale nel ruolo di seconda punta/rifinitore alle spalle di Lustrinelli (e del suo sostituto, l’ottimo Ciarrocchi). Fuori Russotto, ancora incapace di compiere quel salto di qualità che almeno nel campionato svizzero dovrebbe essere alla sua portata (diventerà un nuovo Chiumiento?), rigenerati sulle fasce Gashi e Feltscher, spesso corpi estranei alla squadra. Resta da capire quanto durerà.
3. Il clou della scorsa settimana di Super League è stato comunque lo scontro di vertice tra Young Boys e Basilea. Autori di un pessimo inizio di stagione, i renani si presentavano all’appuntamento in ottima forma nonché rigenerati da una serie di risultati utili che dai bassifondi li aveva issati fino al secondo posto in classifica. Chiave di volta in questo processo di rigenerazione è stato il 2-0 inflitto alla Roma in Europa League, che ha trasformato una squadra bolsa e prevedibile in una compagine “di peso” capace di sfruttare a proprio favore chili, centimetri e l’esperienza di una vecchia volpe delle aree di rigore come Alex Frei. Lo Young Boys per contro nell’ultimo periodo aveva accusato qualche calo di tensione, peraltro logico quando si domina un campionato dall’alto di una indiscutibile superiorità tecnico-tattica. La recente vittoria in casa del Neuchatel Xamax negli ottavi di coppa di Svizzera ha però messo in guardia i (pochi) scettici: nelle partite che contano il club di Berna non tradisce.
4. Così è stato anche domenica, con un 2-0 firmato Doumbia e Schneuwly che non ha ammesso repliche. I colori della Super League 2009/2010 saranno il giallo e il nero, così come quelli della Serie A saranno (ancora) il nero e l’azzurro. Il margine di dubbio è lo stesso, ovvero prossimo allo zero. Abbiamo già parlato dell’ottimo lavoro svolto dal tecnico Vlado Petkovic, che anche nel big match contro il Basilea ha dimostrato la propria perizia nel proporre una squadra tatticamente mutevole, organizzata e fluida nelle sue movenze “a fisarmonica”. Lo Young Boys attacca in sette e difende in nove, partendo con un 3-4-3 che diventa 5-4-1 in fase di non possesso e 3-3-4 in quella di costruzione di gioco. Un lavoro notevole destinato a riportare i gialloneri sul gradino più alto di Svizzera per la prima volta dal lontano 1986, quando lo Young Boys dello svedese Robert Prytz (visto in Italia con Verona e Atalanta), del bomber danese Lars Lunde, e degli indigeni Georges Bregy e Dario Zuffi (padre di Sandro e Luca, oggi talenti emergenti nel Winterthur) si rese protagonista di una esaltante rimonta ai danni del Neuchatel Xamax, coronata da un 4-1 rifilato ai castellani nelle battute conclusive del torneo.
5. Seydou Doumbia non era ancora nato quando al Wankdorf di Berna si festeggiava il titolo. Sarà però sicuramente presente quando il prossimo maggio si stapperà nuovamente lo champagne. Lo Young Boys ha infatti dichiarato l’attaccante ivoriano incedibile prima della fine della stagione. Logico del resto che a Berna ci sia la fila di pretendenti; 20 reti lo scorso campionato (con sole 8 presenze da titolare), 17 (in 15 partite) in quello attuale, e la palma di capocannoniere prenotata per il secondo anno consecutivo. Ma è tutto il contingente della Costa d’Avorio a girare bene in casa dei “Giovani Ragazzi”. A centrocampo spicca l’esperienza di Gilles Yapi-Yapo, ennesimo prodotto del Beveren “africano” di Jean-Marc Guillou, ma la grande sorpresa si chiama Tapè Moussè Doubai, mediano classe ’88 dai piedi educati e dalla buona personalità. Un play basso davanti alla difesa, inappuntabile in fase di interdizione ma con interessanti margini di miglioramento anche in fase di possesso. Con Yapi e Hochstrasser (altro ’88), Doubai costituisce la miglior mediana del campionato svizzero.

6. Scarso invece il minutaggio concesso finora al quarto ivoriano, l’esterno classe 91 Youssouf Traorè, prelevato dall’Athletic Adjamè (così come il connazionale Doubai), società ivoriana con la quale lo Young Boys ha stipulato un rapporto di collaborazione. L’Athletic Adjamè segue la stessa filosofia formativa della più famosa ASEC Mimosas, e dalla sua accademia nel 2005 è uscito proprio un certo Doumbia. Ma allora non esisteva ancora alcuna partnership svizzera, e così l’attaccante, dopo una stagione in patria chiusa in doppia cifra (15 centri) nel Denguelé, è emigrato in Giappone, prima in J. League nel Kashiwa Reysol, poi addirittura nella serie cadetta con il Tokushima Vortis. Alla fine è arrivato a Berna. Una decina di anni fa forse non sarebbe successo. Non a tutti il calcio moderno fa skyfo.
wovenhand@libero.it
(in esclusiva per Indiscreto)

di Christian Giordano
Uno dei più grandi del West Ham United del secondo dopoguerra, Frank Lampard Sr. (20-9-1948). Debutta in campionato con gli Hammers a Upton Park contro il Manchester City nel novembre 1967. Verso la fine della stagione si rompe una gamba nel 2-1 esterno sullo Sheffield United, ma poi recupera e non esce più dalla prima squadra.

Segue immediato riconoscimento internazionale con 4 presenze nella Under 23 inglese e la prima delle sole due presenze da titolare in quella maggiore, contro la Jugoslavia nell’ottobre 1972. Per la seconda dovrà aspettare otto anni, fino al maggio 1980, quando l’ex boss degli Hammers, Ron Greenwood, lo convocherà per farlo giocare contro l’Australia a Sydney. Con il West Ham vince la FA Cup nel 1975 (2-0 al Fulham) e la stagione seguente disputa, contro l’Anderlecht, la finale di Coppa delle Coppe. A pochi minuti dall’intervallo, con gli Hammers avanti 1-0, il secondo grave infortunio della carriera: nel tentativo di liberarsi di un avversario resta impiantato coi tacchetti sul terreno e subisce un serio trauma allo stomaco. Come non bastasse, in quell’azione i belgi pareggiano e sullo slancio vinceranno 4-2. Lampard, invece, vola in patria per essere operato d’urgenza. La ruota gira nel 1980, quando è grazie al gol del suo terzino sinistro se gli Hammers superano in semifinale l’Everton all’Elland Road e raggiungono la finale di FA Cup contro l’Arsenal. È l’apice della carriera per Lampard, che nel 1980-81 sfiora la doppietta conquistando la finale di Coppa di Lega e il campionato di Second Division. Dopo 660 partite e 22 gol fra campionato e coppe in 18 annate all’Upton Park, alla fine della stagione 1984-85 gli Hammers gli concedono lo svincolo gratuito per accasarsi al Southend United, all’epoca allenato dall’ex capitano del West Ham United e dell’Inghilterra mondiale Bobby Moore. Ma dopo appena 38 presenze nel club di Roots Hall, in seguito a una sequela di persistenti infortuni, “big” Frank dice stop. Tornato all’Upton Park come secondo del cognato Harry Redknapp, perde il posto nell’estate 2001 quando Redknapp va al Portsmouth come Managing Director. Il 24 novembre 2008 Lampard viene nominato “football consultant” dal neomanager del Watford, Brendan Rodgers, che poi seguirà al Reading per ricoprire lo stesso ruolo al Madejski Stadium. Zio dell’ex nazionale inglese Jamie Redknapp, centrocampista di Liverpool, Tottenham e Southampton fra il 1989 e il 2005 e attualmente opinionista di Sky Sports, Frank Lampard senior ha perso la moglie Pat il 24 aprile 2008 per le complicazioni di una polmonite. Oggi ci si ricorda di lui come padre del fuoriclasse-simbolo del Chelsea e dell’Inghilterra di Fabio Capello. Prima, però, il campione di casa era papà.
Football Poets Society

Domenica pomeriggio è stato emozionante vedere Chuck Jura entrare al Palalido e dopo trenta anni venire riconosciuto in un secondo da tutti, da Sandro Gamba ai giovani tifosi dell’Armani (perché ogni tifoso ha un padre), passando per grandi personaggi come Toni Cappellari ed Alberto Merlati (De Simone-Merlati-Burgess, il leggendario ‘Muro di Cantù’: scudetto 1967-68, con in campo un giovane Recalcati). Interessante è stato anche ascoltare i giudizi sul basket italiano da parte di chi non vedeva una sua partita da metà degli anni Ottanta. Era la stagione dell’ultimo urrah al Master Valentino Roma, con pagamento in pelliccie…
Senza andare ad analizzare le cause, di cui si è parlato mille volte, la realtà di Milano-Pesaro e di quasi tutte le altre partite professionistiche europee è evidente: una serie infinita di pick and roll, difese a uomo con qualche pennellata di match-up per far vedere la mitica mano dell’allenatore, ragazzi di 2,11 come Sakota che tirano solo da 8 metri (prendendoci anche, il suo terzo quarto è stato spaventoso), centri che non guardano il canestro, registi bravissimi tecnicamente ma portati a masturbare il pallone. Poi l’Armani era senza Acker e Petravicius, la ScavoSpar ancora con lavori in corso e comunque margine per schiodarsi dallo zero in classifica: tante altre spiegazioni per un match che è stato comunque avvincente e degno di essere visto. Prendiamo il tutto come fotografia di un movimento: dagli otto ultrà pesaresi ai trenta milanesi, nella tristezza di un ambiente che non riesce a ritrovare un’identità al di là di un’affluenza in ogni caso modesta per una metropoli. A meno che l’identità non sia quella di Pozzecco ‘uomo immagine’, fra una telecronaca e l’altra: immagine forse per l’Hollywood o per un basket che assomiglia ad una Nbdl con costi di gestione da piccola Nba. E’ il basket dei Branko Cvetkovic, paracadutato in campo appena dopo la firma: l’ala serba ha difeso discretamente su Mancinelli e Maciulis ma attaccato in modo imbarazzante, tirando con 1 su 10 tutte le volte in cui non ha commesso infrazione di passi. Otto squadre negli ultimi cinque anni barcamenandosi fra fallimenti tecnici e finanziari, un precario globalizzato del mondo odierno. Anche se l’ultima impressione inganna, perchè Cvetkovic è uno vero: nel giro della nazionale serba (di nascita sarebbe bosniaco), ha combinato buone cose più da guardiona che da ala e si è fatto notare nel Girona di un paio di stagioni fa arrivando da protagonista alla finale di Uleb Cup. Il punto non è però la qualità di Cvetkovic, ma il suo significato: tappabuchi per chi se lo può permettere, uomo senza ruolo fisso e senza grandi aspirazioni nel mercato sempre aperto. Evitando operazioni protezionistiche fuori tempo massimo o altri tipi di discriminazioni, basterebbe impedire i movimenti di mercato durante la stagione per avere un roster conosciuto almeno dai propri tifosi. Perché oltre agli agenti e magari anche a qualche dirigente in torta, ci sfuggono i beneficiari di tutto questo circo. Non gli allenatori, costretti a giocare con due giocatori affidabili in mezzo ad un mare di journeyman. Non i giocatori stessi, schiavi dell’ultima chiamata e di statistiche gonfiabili e gonfiate. Auguriamo a Cvetkovic di diventare una bandiera di Pesaro, ma sarà difficile. E non solo perché il suo contratto scade a giugno.
stefano@indiscreto.it

di Stefano Olivari
Consigli non richiesti su Brest, Strasburgo, Sampdoria, Huddersfield, Anderlecht e Werder Brema…

Cosa facciamo, ci ritiriamo? Ma no, avanti fino alla rovina. Nel fine settimana presi De Graafschap (più 27 euro), New Saints (12), Inter (65) e Barcellona (85). Sbagliati Rangers, Manchester City, Siviglia, Juventus e Alemannia Aachen. Parziale di meno 311, con il capitale che scende a 666,15. Ce ne sarebbe abbastanza per andare al parco a dare il mangime ai piccioni, ma continuiamo a preferire le scommesse.
1. Stasera in Ligue 2 francese onestissimo l’1,75 del Brest sull’Istres. I padroni di casa hanno più qualità (in difesa Omar Daf, nel Camerun ad Asia 2002 e una vita nel Sochaux), ma soprattutto devono rimanere agganciati ad una zona promozione che è a soli tre punti di distanza. Mentre l’Istres in trasferta è finora stato un disastro.
2. In coda, sempre in Ligue 2, c’è uno Strasburgo-Bastia molto interessante. Penultima contro ultima, solo che la qualità della rosa a disposizione di Janin (fra l’altro in passato allenatore del citato Brest) è superiore. Un 1,80 allo storico De la Meinau (fu lo stadio in cui al Mondiale 1938 il Brasile battè 6-5 la Polonia, con tre gol di Leonidas a cui risposero i quattro di Wilimowski) può tramutarsi in soldi facili. O in soldi persi, come al solito vale tutto.
3. Dopo il crollo in campionato, la Sampdoria in Coppa Italia può prendere un brodino con il Livorno: 1,50 si può giocare. Non ci sarà Cassano, lasciato a riposo da Del Neri (non è detto che sia un danno, in questo momento), ma sarà in campo Palombo che in campionato (Milan, sabato pomeriggio) è squalificato. Chi vince avrà negli ottavi l’Inter, da affrontare a San Siro sempre in gara unica.
4. In League One inglese nettissime le differenze fra l’Huddersfield Town, allenato da Lee Clark (ex centrocampista di Newcastle, Sunderland e Fulham) ed i Tranmere Rovers in caduta libera: dopo l’esonero della coppia Liverpool (John Barnes head coach, Jason McAteer assistente), ormai più di un mese fa, la squadra è stata affidata al preparatore atletico Les Parry. A 1,38 il centello parte (verso dove non si sa).
5. Domani in Europa League l’Anderlecht capolista del gruppo A dovrebbe passeggiare contro la Dinamo Zagabria, che ha speranze di qualificazione quasi nulle. Ci copriamo, però: 75 sui belgi a 1,77, 25 sul pari trovato a 4,10.
6. Giovedì troviamo interessante, sempre nell’ex Coppa Uefa l’1,35 del Werder Brema di Thomas Schaaf con i portoghesi del Nacional, più noti nel mondo per essere stati la seconda squadra di Cristiano Ronaldo (la prima fu l’Andorinha) che per i buoni risultati della scorsa stagione. Ottenuti fra l’altro grazie anche a Nené, l’attuale attaccante del Cagliari, che ha portato nelle casse della società soldi (di Cellino) mai visti prima. Speriamo in bene, venerdì faremo i conti e magari chiuderemo bottega.

di Stefano Olivari
Nelle scommesse sportive la quasi totalità del gioco avviene sulle partite, mentre modesti sono in proporzione i volumi delle puntate ante-post (tipo l’Inter scudettata, ora a 1,25) e marginali quelli delle scommesse speciali. Proprio qui però si concentrano le occasioni, essendo l’alea spesso inesistente.
Il Basilea può uscire indenne da Barcellona, ma è impossibile che Messi non vinca il Pallone d’Oro 2009. Esempi non casuali: un anno fa il pareggio degli svizzeri in Champions generò uno dei maggiori incassi netti mai realizzati dai bookmaker e che se l’argentino dovesse ritirarsi domani nessuno potrebbe comunque negargli il premio. Ieri Messi Pallone d’Oro si trovava a 1,05, contro i 6,00 di Cristiano Ronaldo e gli oltre 20,00 di tutti gli altri. Traduzione: il bookmaker sa per certo che il premio andrà a Messi e fa di tutto per scoraggiare le giocate su di lui. Sotto l’1,10 questo comportamento attira però masse di professionisti, che come piranha attaccano la quotina. Quando metti sul piatto un milione di euro un rendimento del 5% in un giorno (oggi si saprà se Messi ha vinto) vale più del 5% annuale che si potrebbe avere da un’obbligazione a rischio medio alto. Il banco ha quindi finestre di follia? No, perché la spesa è limitata (qualcuno avrà giocato su Eto’o o Rooney) ed il potenziale pubblicitario di queste quote più alto di quelle sulle partite. Tutta immagine, insomma, ma ci si può guadagnare. Da domani occhio al Fifa World Player, quattro giorni prima di Natale: lì Messi è ancora a 1,15.
(pubblicato sul Giornale di oggi)