Archivio per dicembre 22nd, 2008

L’unica certezza dell’operazione Beckham era la vittoria contro l’Udinese in versione Washington Generals, un classico che non passa mai di moda delle grandi presentazioni milaniste al di là del gelo con cui i tifosi veri hanno accolto la camminata da red carpet di uno che paradossalmente è il giocatore più vero (nel senso di giocatore che voglia raggiungere traguardi, poi le punizioni le tira bene anche Magrin adesso a 49 anni) fra le tante figurine presentate dalla ditta Galliani-Bronzetti. Per il resto le cose non sono così scontate come sembrano: cioè due mesi nella beauty farm di Milanello e poi il ritorno ad L.A. Il fatto che stia pensando ad una sistemazione milanese per il 2009-2010, portandosi avanti con la definizione di dettagli pratici, significa che il Mondiale vale più dei tre anni residui con i Galaxy (in euro circa 25 milioni lordi all’anno) e che lui per primo si ritenga ancora un calciatore vero. L’ha dimostrato anche nei Galaxy, sia nel 2007 prima di infortunarsi nella finale di Superliga (una torneo misto fra MLS e Primera Division messicana) che quest’anno dove si è comunque distinto nel disastro di una squadra che avrebbe dovuto essere protagonista. Ruud Gullit e Alex Lalas, allenatore e presidente, sono stati accompagnati alla porta in agosto e sulla panchina è stato messo il mito Bruce Arena più per trattenere l’altra stella Landon Donovan che per Beckham: comunque anche Donovan è venuto a svernare in Europa, due mesi al Bayern Monaco e poi si vedrà. Tornando a Beckham e sorvolando su quanti tubini Dolce & Gabbana hanno venduto o regalato alla moglie (da staccare e non conservare gli articoli relativi, mentre noi giornalisti di inchiesta possiamo vantare un’uscita dal bagno, ieri sera, andando sfiorare il divanetto dove era seduta Victoria), non riusciamo a vedere in negativo l’arrivo in Italia del calciatore più popolare del mondo. Sarà di sicuro una baracconata (citazione del mitico Mughini di ieri sera, con Galliani impietrito), sarà anche una scelta per chi punta solo ad amichevoli di lusso, ma il calcio non è solo coppe alzate. Anzi. Cosa resterà delle vittorie contro Urawa e Boca che pure hanno dato un Mondiale per club? Molti più bambini nel mondo inizieranno a tifare Milan per questi due mesi di Beckham. Discorsi stupidi e per niente inediti, visto che ricicliamo questo articolo per tutti i casi simili, ma una delle nostre poche idee è che nel calcio gli errori (free o pay) tragici si facciano con i giocatori medi (Flamini, Zambrotta, Emerson) e non certo con i campioni. Nemmeno con gli ex.
Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it

Oscar Eleni dall ‘isola del tesoro dove offrono due alternative per le feste di fine anno: il male e il bene, il perfido e il pane di ieri che è buono anche domani. Da una parte la capanna dei bastardidentro, un sito che potrebbe aiutarvi se non sapete cosa scrivere sopra il biglietto di auguri, che potrebbe servire alla Lega per scegliere il nuovo presidente già contestato nella placenta, che sarebbe utile a Dino Meneghin per avere la mappa reale sui pretoriani del pennino, quelli dei musini, dei saluti messaggio minaccioso, che oggi fingono di volerlo Cesare, sapendo che a loro serve, al massimo, un Tigellino. Dall’altra, lontano da tutto il convento di Enzo Bianchi, frate contro, frate da combattimento nel nome dei poveri veri, uno che non può piacere alla curia. Lui ti lascerà sul comodino il libro che ha scritto spiegando bene ai sacrestani di oggi, quelli che fanno la fila nella corte della maga anoressica, come sia importante sedersi intorno ad una tavola. Non per mangiare di tutto e di più, ma per raccontarsi le cose spiluccando il pane di ieri che è buono anche per domani, perché certi valori superano il tempo, le bufere, gli affanni del presente. Cari legaioli andate in quel convento a passare le vacanze, caro Meneghin vacci anche tu, così li ascolti e li misuri, ma portato dietro anche quelli che fingono di essere sulla tua carrozza soltanto per evitare di fermarsi nel posto sbagliato, pronti ad andarsene appena vedrai il sole dell’avvenire. Bugiardoni tutti, ma se vengono sulla nostra isola sarà facile capire che, prima o poi, finito il pane, i pennini, andranno nel castello dei bastardi dentro dove puoi avere anche l’oroscopo 2009, dove ti daranno un buono valido per due persone, da sfruttare con Long Silver detto Barbecue, il perfido che trovi in tutte le storie, quella federale, quella di lega, quella di certe società, buono per sedersi davanti alla montagna calva urlando quello che pensano da sempre: fanculo tutti.
Prima di cercare saggezza nei pacchi dono che a Milano si comprano da Pietro Paolo Virdis, per avere un po’ di Sardegna a domicilio, per avere un po’ di ricordi speciali da vendere alla tavola dove metti olio sul pane di ieri e vino nella garganta, per ricordarsi del Milan di Rivera e Liedholm, andiamo al castello dei bastardi per farci consegnare i prigionieri da portare al villaggio dei famosi in malafede, quelli che sanno perché mentono, ma tirano avanti nella speranza che nessuno se ne accorga. Dire che Roma è cambiata dopo averla vista soffocare contro una Lubiana certo più debole di quella battuta in Slovenia, parlare di coraggio per il rilancio del Giachetti che la stagione precedente era diventato un quasi regista vero prima dell’infortunio, ammettendo che alla scuola di Gelsomino aveva imparato ripartendo da zero, insomma vedere il sole dove piove fa una certa impressione. La malattia era ben visibile e non dipendeva soltanto dalla stanchezza mentale di Repesa spremuto da una stagione usurante finita alle Olimpiadi. Dire che Giachetti finalmente gioca vuol dire non sapere che nelle rotazioni serie avrebbe potuto entrare se poi non dovevi rispondere ai ragazzi di Flavio e Paola sull’accantonamento di Allan Ray, sulla giusta permanenza ai corsi pomeridiani di recupero del ragazzo Jennings che, secondo loro, quando sarà un grande nella NBA, ricorderà con piacere questa gita romana. Certo che la ricorderà, ma sarebbe meglio se lo potesse fare pensando alle ore che gente di buona volontà ha sprecato per lui. Roma è nata male su un pivot molle e fasullo come Brezec, con rotazioni rese impossibili dall’egoismo dei giocatori e della società.
Alla Virtus Bologna l’arrivo di Boniciolli e Zorzi ha cambiato tante cose, si sono viste, ma pensare che le colpe fossero tutte e soltanto di Pasquali e che il nuovo corso era cominciato perché la squadra aveva ritrovato il sorriso sapeva tanto di bufala. Va bene inventarsene una ogni giorno, ma non si può pensare di essere davvero più furbi quando, magari, si arriva ad essere soltanto più fortunati. Parlare di Fortitudo rigenerata in poco tempo dalla mano e dalla saggezza di Pancotto ha un senso se pensiamo che l’allenatore di Porto San Giorgio, come Boniciolli, è diventato all’improvviso Padre Pio e anche il sempliciotto del villaggio che crede agli stessi che alla prima scivolata gli diranno siete cretini integrali. Le aquile volano senza sapere dove andare perché non hanno uno capace di pilotarle e vale ancora adesso la domanda di molti su Huertas: lo hanno presentato come uno dei migliori registi dell’ultimo campionato spagnolo, allora diteci come erano i peggiori. Milano ha raccontato ai nuovi nipotini, usando la voce fuoricampo dei nuovi Tutor perché dei vecchi zii e dei nonni brontoloni di un tempo quasi si vergogna, che era arrivata la cicogna portando qualcosa di nuovo in città, che per il Babbo Natale Armani i fieri guerrieri avevano inventato il cuscino giusto, salvo poi scoprire che non tutte le volate finiscono in gloria, che quelle più difficili sono state perdute sempre alla stessa maniera, perché certa gente non la cambi anche se la confermi quando tutti erano pronti a congedarla, certa gente non cambia natura da Roma a Milano, da dove volete voi al Forum.
Pagelle nel silenzio del convento:
10 A Gigi TERRIERI mitica voce della Virtus per aver visto cose che noi umani non potremmo immaginare quando ha raccontato la storia di una società che lui ha visto risorgere dalla cenere ai tempi di Porelli, che lui ha visto diventare grande seguendola dal 1971, senza mai sbagliare angolo. Ci vuole orecchio per essere sempre sintonizzati anche quando non ci sono più i Porelli e devi misurarti su altre frequenze, alte e forti, basse e sconclusionate, belle da difendere, povere da proteggere quando prevale la maleducazione.
9 A Fabrizio FRATES per aver trovato le soluzioni giuste in una reggia casertana dove pensavamo che prendere certi giocatori sarebbe stato rischioso. Certo i conti si fanno alla fine, ma quando vedi giocare la Eldo provi un certo piacere e forse esistono ancora allenatori che sono in grado di ordinare ai giocatori di fare quello che serve alla squadra e non ai loro agenti.
8 A Sylena JOHNSON GARRIS, la moglie del pilota di una Montegranaro che, nella serata dove tutti avrebbero dovuto essere più allegri, accompagnati dalle note e dalla voce di una vera artista, si è trovata sola sul parquet di Porto San Giorgio perché nessuno dei compagni di suo marito ha sentito quell’armonia.
7 Al PAPALIA proprietario di Rieti non tanto perchè cerca disperatamente sostegni economici per non trovarsi con altri punti di penalizzazione, per non rubare a giocatori con l’anima di un Patricio Prato il sogno di potersi salvare davvero, ma per l’intervento sugli idioti che pensavano di fiacchare Facchini tirandogli delle monete. Questa gente andrebbe individuata e in crisi economica spetterebbe a loro pagare le multe salatissime che arriveranno.
6 A Dan PETERSON e Valerio BIANCHINI che nel libro ricordo sulla vita e le opere di Maurizio Martolini, arbitro emerito, hanno detto le cose che andavano ricordate, con il loro stile, con la fantasia che li rende speciali in ogni occasione, sarà per questo che nessuno dei due serve a questo basket a cui piacciono di più i venditori porta a porta.
5 A chi progetta le NUOVE ARENE dello sport dicendoci che la verà novità non è tanto dentro il palazzo o lo stadio, ma in quello che verrà costruito intorno. Ci dicono che avere negozi, ristoranti, cinema è un segnale di vita nuova, anche se a noi sembra difficile che in questo modo possa cambiare l’educazione della gente, migliorare la cultura se poi si fa finta di non vedere e sentire quello che certi dicono quando sono a bordo campo.
4 Ad Attilio CAJA se non sgrida i suoi amici del Corsport che gli hanno dato il merito della vittoria di Avellino che spetta a Romeo Sacchetti. Ma succede quando si è nel cuore di tutti quelli che soffrono vedendo artiglio fuori gioco. Si vari subito la regola che gli allenatori esonerati possono rientrare almeno in altre categorie.
3 A GORDON se pensa di essere diventato davvero il nuovo Flash per lanciare la Fortitudo, perché lui può fare progressi soltanto se segue la pista tracciata dall’allenatore, se si convince che quelli con la stessa maglia, tipo Mancinelli, possono avere il pallone importante nel momento giusto. A Milano ha fatto il capolavoro, ma dietro c’è il resto. E’ giovane, dicono, allora aiutiamolo crescere senza troppo incenso. In questlo modo la Fortitudo crescerà davvero e con gli uomini che ha non è detto che alla fine sia soltanto spettatrice.
2 A Carlton MYERS che nelle pagelle del Carlino Pesaro viene definito imbarazzante. Uno del suo livello può non essere in giornata, può andare male, ma essere addirittura imbarazzante vuol dire ben altro. Speriamo che sia stato il vento caldo di Siena a stordirlo e non il tempo inesorabile che passa.
1 Agli ARBITRI alberi di Natale visti a Milano, visti in Eurolega, certo quelli a livello internazionale sono peggio dei nostri, ma non di tutti i nostri. Evitiamo sviolinate senza senso a gente che lavora in un terreno difficile ma, come i giocatori, deve allenarsi bene e sempre se vuole essere creduta, ma soprattutto deve essere fermata o tenuta a sedere se non è all’altezza.
0 Alla LEGA che divora i suoi presidenti, che doveva essere compatta per contare davvero nel prossimo consiglio federale e che invece si troverà spiazzata. Essere arroganti o maleducati non vuol dire anche essere gli unti del Signore come sapete bene. Certo fino a quando la gente dirà non ci vado perché tanto comandano in due, non ci vado perché non li capisco più, ci vado e mi inginocchio perché senza di loro non si farà nulla, avremo questo papocchio per la festa dei grandi elettori che già si fregano le mani perché il prossimo appalto saranno 80 giorni di raduno azzurro.
Oscar Eleni
(per gentile concessione dell’autore)

1. Direttamente dal prontuario del giornalista sportivo italiano medio in trasferta nella provincia d’Europa calcisticamente meno conosciuta. Gli avversari della squadra italiana di turno saranno inevitabilmente dei “mazzolatori”, con giocatori appartenenti alla “tribù dei piedi grezzi” i quali, nella malaugurata ipotesi di una vittoria conquistata sul campo, devono ringraziare la “beneficenza” o, in caso di festività varie, “il regalo di Natale” gentilmente ricevuto dalla compagine tricolore. Perché “dai, non esiste proprio” (stiamo sempre chiedendo aiuto al prontuario) che un club di serie A “si faccia prendere a sberloni” da una squadra che “con rispetto parlando in Italia farebbe fatica a galleggiare in serie B”. Scontata la chiusa: il passaggio del turno di questa grezza vulgata pedatoria “significa che il livello della Coppa Uefa (sostituire con una competizione internazionale a scelta, ndr) si è abbassato”. Questo il resoconto fornito dalla Gazzetta dello Sport lo scorso venerdì per Nec Nijmegen-Udinese 2-0. Sugli olandesi (ma avrebbero potuto essere benissimo ucraini, norvegesi o greci) è scattato il luogocomunismo più trito e provinciale; inutile affannarsi a cercare informazioni tecnico-tattiche (con che modulo giocano, quali strategie ha adottato il loro tecnico Mario Been, perché ha inizialmente scelto la velocità di Ntibazonkiza per poi ripiegare sulla fisicità di John) o di contesto (come si sta comportando il Nec in Eredivisie, per quale motivo lo scorso anno era sulla soglia della zona retrocessione e adesso se la gioca in Uefa), perché con tutta probabilità nemmeno chi scriveva ne era a conoscenza. Ciò che non manca però è l’ironia, ed ecco quindi Zomer e Wisgerhof definiti “due spaccalegna prestati al calcio” (eppure in maglia bianconera Nef e Coda non sembravano proprio la reincarnazione di Beckenbauer e Nesta), anche se fa sorridere leggere che l’arbitro “è ceco di nazionalità e un po’ cecato di vista” quando lo stesso cronista chiama quelli del Nec “i nero-verdi” non accorgendosi che i colori sociali (e la divisa) del club contengono in egual misura tre colori: rosso, nero e verde (tipo Venezia per intenderci, anche se nel caso degli olandesi la ripartizione è più marcata). Stride pertanto parecchio confrontare questo report grossolano con quello pubblicato il medesimo giorno sul quotidiano olandese De Telegraaf, dove, oltre alla logica soddisfazione di vedere una propria squadra conquistare un’insperata qualificazione ai sedicesimi di Uefa, quasi metà dell’articolo era dedicato all’Udinese, alla sua situazione delicata, alle motivazioni degli inserimenti di Coda, Lukovic, Motta e dell’ex juventino Belardi, e al calcio praticato da Marino. Prima si conosce e si approfondisce, poi si giudica. Una regola che purtroppo il prontuario non contiene.
2. Due parole su Mario Been, che ha davvero compiuto una grande impresa. Quando il suo Nec lo scorso anno era ad un passo dal baratro, la dirigenza ha deciso di rinnovargli il contratto anziché dargli il benservito. Il risultato è stato un club che dal marzo 2008 a oggi ha perso solo sei incontri, inclusi i due in Coppa Uefa. Proprio la campagna europea del Nec ha testimoniato tutta la bontà del lavoro svolto da Been: sconfitta di misura a Zagabria contro la Dinamo (a dieci minuti dalla fine gli olandesi conducevano 2-1), dignitoso 0-1 incassato in casa contro una squadra, il Tottenham, nel quale il solo Pavlyuchenko costa metà rosa del Nec, vittoria di spessore e di carattere a Mosca contro lo Spartak, infine il successo contro l’Udinese. Totale: sei punti in quattro incontri, 6 gol fatti e 5 subiti, e terzo posto conquistato con pieno merito. La Cenerentola del girone non ha sfigurato al grande ballo. Been possiede idee, flessibilità tattica e carisma. Sa gestire oculatamente un parco attaccanti composto da sette giocatori plasmando il tridente secondo la tipologia dell’avversario. Se vuole la fisicità si rivolge a John (arrivato in vistoso sovrappeso dopo mesi di panchina in Premier League, e quindi centellinato per favorirne il graduale ritorno ad uno stato di forma ottimale) e Janssen; se cerca la profondità ecco Ntibazonkiza e Tshibamba (due giovani interessanti da svezzare gradualmente); per una gara più accorta invece affianca, passando ad un modulo a due punte, un elemento di disturbo come il rapido Bouaouzan (ex Wigan) all’esperto Van Beukering, che non sarà “tecnicamente più forte di Huntelaar”, come sostiene egli stesso ricordando quando nelle giovanili del De Graafschap lui era la stella dal futuro luminoso e KJH il suo gregario, però la differenza riesce spesso a farla. A centrocampo con Schöne sembra essere tornato di moda il numero 10 vecchia maniera, creativo e imprevedibile, con l’aggiunta, nel caso di questo talento danese in odor di nazionale, di una buona predisposizione al sacrificio. Il “maratoneta” Lorenzo Davids non sarà mai un campione come lo zio Edgar, ma in Eredivisie ci può stare eccome, mentre dietro elementi quali il portiere Babos, il centrale Wisgerhof e il terzino sinistro El Akchaoui (tabelle di rendimento alla mano, uno dei migliori esterni sinistri del campionato) stanno vivendo le migliori stagioni delle loro carriere. Il Nec possiede infatti una delle migliori difese d’Olanda, frantumando così un altro luogo comune. Del resto Mario Been, che indica in Leo Beenhakker il suo maestro e nell’acronimo PIT (tradotto in italiano: Divertimento, Applicazione e Lavoro di Squadra) la propria filosofia calcistica, a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta ha giocato in Italia nel Pisa. E non è stato certo un turista per caso.
Alec Cordolcini
wovenhand@libero.it
(in esclusiva per Indiscreto)

Formula ferma

La “tre giorni” di confronto fra il presidente della federazione internazionale dell’auto (FIA) Max Mosley e l’associazione dei team di Formula 1 (FOTA) ha prodotto il più grande ridisegno tecnico-organizzativo che il “Circus” abbia mai saputo imporsi. La crescita a dismisura dei costi di una stagione sportiva, percepita come un grave problema già prima che la crisi finanziaria mondiale mettesse a rischio gli investimenti in sport, aveva posto le premesse per la fissazione di una vasta e condivisa agenda delle misure da prendere per garantire un futuro più sostenibile alla principale disciplina sportiva motoristica. Dalla prossima stagione la Formula 1 sarà più “risparmiosa”, il che costituisce un mutamento di pelle per una disciplina sportiva che aveva fatto dell’incrementalismo (della potenza di prestazione, dei costi e degli investimenti) la propria dinamica principale. Su un solo punto FIA e FOTA si sono trovate in forte disaccordo: la proposta di motore unico, avanzata da Mosley e rigettata su pressione team principali, che sono anche quelli più avanzati in termini di autonomia tecnologica. La prospettiva che tutti i team adottassero un motore standard marca Cosworth, fortemente auspicata da Mosley in persona, è stata respinta dai team sia pur con diversi gradi di convinzione. E a quel punto il presidente della FIA ha dovuto abbozzare.
A dirla tutta, nella circostanza il presidente della federazione automobilistica mondiale si è dimostrato un pessimo conoscitore del mondo che dovrebbe governare; il quale richiede una profonda conoscenza culturale prima ancora che accortezza nella gestione dei rapporti politici. Cosa, infatti, si può avere di più impensabile negli sport motoristici che chiedere ai team di farsi sottrarre la sovranità creativa nell’approntamento dei mezzi da allineare in gara? E cosa di più cruciale, in questo specifico campo del “sapere” e “saper fare”, del motore, ovvero il cuore della creazione d’una vettura da competizione? Impensabile, a meno di negare le stesse origini dell’automobilismo e di ogni altra disciplina sportiva che si svolga attraverso l’utilizzo di un mezzo di locomozione (motociclismo, ciclismo, e tutti gli sport nautici). Tali discipline, infatti, sono sorte e si sono sviluppate come complementi delle nascenti industrie tecnologiche della mobilità. Il loro versante tecnologico ha pregnanza pari a quello agonistico, poiché fra i due viene a instaurarsi un circolo virtuoso per il quale lo sviluppo di tecnologia è sviluppo di performance in gara, e a sua volta l’incremento della performance fornisce feedback per l’ulteriore sviluppo tecnologico, e così via. Immaginare che tutto ciò possa essere ricondotto dentro il recinto dell’omologazione e dell’indistinto significa ignorare colpevolmente il contenuto di sfida tecnologica insito in queste discipline. Tutto ciò Mosley avrebbe dovuto saperlo. E se sapendolo ha deciso d’ignorarlo, la questione diventa anche più preoccupante.
Pippo Russo
http://www.myspace.com/pipporusso
(per gentile concessione dell’autore, fonte: Il Messaggero dell’altroieri)