Archivio per marzo 4th, 2008

La storia é risaputa, ma mercoledì scorso abbiamo avuto la dimostrazione che Roberto Mancini quando parla dell’Inter come società abbia spesso ragione, alla faccia di coloro che ogni santo giorno cercano di metterlo in difficoltà. Lui va diritto per la sua strada, é riuscito a mandare fuori dalla Pinetina Adriano e Recoba, ora aspetta il momento giusto per fare lo stesso con Combi: chissà chi sceglierà Moratti…Nel secondo tempo di Inter-Roma Maxwell si è infortunato, distorsione alla caviglia. Parentesi, sta abbastanza bene, lo abbiamo visto con i nostri occhi uscendo dallo stadio sorridente, accompagnato dalla moglie. Unica richiesta scendere nel parcheggio con l’ascensore. Ci stiamo stupiti nel vederlo da solo, senza uno dello staff nerazzurro, però pazienza. Torniamo alla partita: Maxwell si fa male, il dottor Combi corre da lui e si gira verso Mancini, facendo il segno della sostituzione. Lo fa subito, perché lui é uno che non intende mai e poi mai guarire un giocatore prima di due mesi, figuriamoci uno con una distorsione. Cambio, cambio, non rischiamo, questo é il suo slogan, stavolta giusto, viste le condizioni del terzino. Il tecnico, furente (eufemismo), allarga le braccia e inizia a imprecare verso il dottore: semplicemente aveva fatto i tre cambi e, secondo un regolamento che pare venga ignorato dal medico, impossibile farne un altro. Domanda: Combi cosa fa in panchina, se non riesce a capire neppure quello che accade nella sua squadra? Mancini non chiede miracoli, si é rassegnato anche alle teorie del medico, ma almeno questi non lo faccia innervosire. Diciamo la verità, l’episodio é grottesco. Combi non può dire che fosse in trance, in tensione, bla bla bla, semmai questi discorsio potrebbe farli Mancini. Come riesca a far vincere l’Inter, questo è il vero miracolo dei nostri tempi. Ma presto, senza di lui, Moratti riuscirà nell’impresa di far tornare l’Inter simpatica. E ovviamente perdente.
Chiamarla marchetta sarebbe una volta tanto sbagliato. Può sembrare strano, ma ogni tanto davvero esistono delle persone che meritano di essere apprezzate, esaltate e confortate. Nell’amicizia crediamo tantissimo, al di là della retorica, per cui dovete sopportare altre nostre considerazioni su Cristian Chivu. Perché domenica sera a Napoli, quando si é fatto male, ci é crollato il mondo addosso. Non tanto per l’infortunio in sé: nulla di grave, la spalla la si mette a posto. Ma perché é la nostra ossessione, la situazione del braccio sinistro. Dopo ogni santa partita la prima domanda che gli facciamo é la stessa: “E la spalla?”. “Fa male ma regge”, rispondeva. Anche mercoledi notte, dopo la gara contro la Roma. Siccome in tanti inizieranno con la solita battuta, “Cristian Swarowski”, ecco la verità sulla sua condizione fisica. Lui non gradirà, ma quando ci vuole ci vuole. Dopo la caduta nell’amichevole contro la Germania, che ha portato alla lussazione della spalla, non si é mai ripreso completamente. Ha ancora un buco nella spalla, tre centimetri di buco: chi se ne intende sa quanto sia spaventosa la storia. Il braccio sinistro riesce ad alzarlo a malapena. E se ci avete fatto caso, si é fatto male proprio provando a spingere l’avversario con il braccio sinistro. E cosi é saltata la spalla. Di solito un buco del genere si chiude in sei mesi. Ma si deve star fermi e lui non é venuto a Milano per guardare, tanto meno con quasi tutta la difesa infortunata, da Samuel a Cordoba. In difesa, al centro o come terzino, a centrocampo ovunque, c’é bisogno di lui. Gli tocca farsi sempre cinquanta metri per andare a battere un calcio d’angolo oppure una punizione. Stremato alla fine di ogni gara, tiene duro. Il campo di San Siro non aiuta perché, tutti i giocatori, non solo lui, alla fine di ogni gara accusano dei dolori pazzeschi: pubalgia, si dice genericamente. Da Napoli é arrivato verso le tre del mattino. Come sempre, ha faticato ad addormentarsi. Solitamente guarda le partite dei Boston Celtics, ma la gara dei verdi era finita. Per la cronaca, impazzisce per Paul Pierce, ha anche il suo cappellino firmato. Da ieri tutore e terapie. Contro il Liverpool ci sarà, costi quel che costi. Al massimo salterà ancora una volta la spalla. La rimonta sembra difficile, ma nello sport e nella vita per Chivu l’importante è esserci: “La serata di Anfield mi é rimasta impressa. Per quattro minuti ci hanno riempiti di insulti sui media, fosse finita 0-0 si sarebbe parlato di eroi. Ecco, voglio leggere quelle parole, eroi, mercoledi mattina sui giornali. Giocherò costi quel che costi. Mi fa male da mesi, spero che non salti di nuovo la spalla. Non é facile rimetterla a posto durante la partita”. La vita del calciatore è di sicuro sempre più facile di quella dell’operaio, ma non così facile come il tifoso medio pensi. Poi, a prescindere dai soldi, c’è chi al calcio ci tiene e chi non ci tiene, come l’Inter dei tanti genii incompresi del recente passato ben sa. Chivu ci tiene.

Dominique Antognoni
dominiqueantognoni@yahoo.it

Toto Cutugno non ha deluso Sanremo, ma purtroppo non ci riferiamo alla musica. Anzi, la sua ‘Un falco chiuso in gabbia’ è forse la cosa peggiore che abbia scritto in quattro decenni di grande carriera. Ma nonostante le lampade ed i capelli grigi si è confermato presenza vitale, vitalissima, al punto che solo il suo litigio con Mario Luzzatto Fegiz (con successivi tarallucci e vino) al Dopofestival di Elio ci ha scossi dal nostro torpore e distolto da pensieri del tipo ‘Non ci sono più le belle canzoni di una volta’. Ma dell’attualità potete ovviamente leggere in ogni sito, con buona pace di Giampiero Mughini che a Domenica In parlando del Festival (e non della Critica della Ragion Pura) ha affermato che le cose che si scrivono sul web non contano. Adesso volevamo solo ricordare gli inizi sanremesi di Toto, grazie ad un video segnalatoci da Pino Frisoli. Anno 1976: Cutugno è l’anima degli Albatros che si classificano terzi, ex aequo con Sandro Giacobbe, con la canzone dall’inquietante titolo ‘Volo AZ 504’. Ma c’è un Cutugno sanremese ancora più antico, precisamente del 1970, quando come autore (in tandem con Cristiano Minellono) firmò una canzone dei Ragazzi della via Gluck (una delle mille incarnazioni del gruppo supporter di Celentano). A 37 anni, nel 1980, la partecipazione come cantante solista e la sua prima ed unica vittoria, con ‘Solo noi’. Negli anni Ottanta arriverà poi per quattro volte secondo, legando il suo nome anche a tanti capolavori come autore, da ‘Io amo’ di Fausto Leali a ‘Noi, Ragazzi di oggi’, portata all’immortalità da Luis Miguel. E ovviamente seconda: era il 1985.

Siccome è giusto fare delle domande ma anche dare delle risposte, ecco che anche questa settimana torniamo su Eduardo Infantino, il tecnico argentino che la Federazione ha ingaggiato per seguire i nostri migliori talenti e che sembrava essere rimasto senza materiale su cui lavorare. In effetti è vero che Fabbiano e Lopez se ne sono andati da Tirrenia mentre Trevisan è momentaneamente ko, ma Roberto Comentucci – che ringraziamo per la segnalazione – ci ha fatto sapere di aver visto Infantino lavorare per la Fit all’Eur: la scorsa settimana infatti stava seguendo due giovani prodotti di Tirrenia, cioè Alessandro Giannessi e Lorenzo Papasidero, entrambi 17enni, impegnati in un torneo da 10mila dollari nel quale hanno perso nelle qualificazioni. In più Infantino è stato visto allenare proprio Daniel Lopez che aveva una wild card per il tabellone principale e che forse dopo la fuga in Spagna potrebbe essere sulla via del ritorno, anche se conferme non ce ne sono. Questa dunque la situazione attuale, che è una bella notizia se davvero un coach del talento di Infantino si sta adoperando per il nostro tennis affiancando il bravo Renzo Furlan. Di tutto questo, ovviamente, dovrebbe darne notizia la federazione che però è troppo impegnata a polemizzare con Rino Tommasi sul sito internet. E quindi con i nostri soldi.

Marco Lombardo
marcopietro.lombardo@ilgiornale.it